Ospite questa sera nello studio di Tango per lo speciale dedicato alla morte di Aldo Moro – storico leader della Democrazia Cristiana, rapito e sequestrato per 55 giorni dalle Brigate Rosse -, l’attore e doppiatore Francesco Pannofino fu tra le poche persone ad assistere (suo malgrado) al sequestro all’angolo di via Fani trovandosi lì quasi per caso in una mattinata universitaria: figura piuttosto nota sul piccolo schermo, lo stesso Francesco Pannofino ha più volte raccontato di quello che vide e visse quella terribile mattinata e nel 2015 è anche intervenuto in una delle Commissioni d’inchiesta parlamentare sul sequestro del famoso statista.
Facendo prima di tutto un passo indietro, forse non c’è neppure bisogno di rispondere alla domanda ‘chi è Francesco Pannofino‘: nato a Imperia nel 1958, si trasferì con la famiglia a Roma dove scelse di studiare Matematica all’università – senza mai conseguire il titolo – prima di lanciarsi nel mondo del teatro, poi del doppiaggio e infine del piccolo e grande schermo; mentre ad oggi di lui si ricorda soprattutto la serie tv ‘Boris‘, l’aver prestato la voce a George Clooney e – a tema con questo articolo – la canzone ‘Il sequestro di Stato‘ ispirata ai fatti di via Fani.
Francesco Pannofino e il sequestro di Aldo Moro: “Vidi tutto, fu una mattanza”
Raccontando quello che accadde in quel maledetto 16 marzo dal 1978 quando rapirono Aldo Moro: l’attore Francesco Pannofino ha ricordato di essersi trovato in via Fani per puro caso: quella mattina avrebbe dovuto sostenere un esame di algebra all’università ma il suo scooter non si avviò e decise di recarsi alla fermata dell’autobus poco distante da casa sua, a due passi proprio da via Fani; facendo prima però una sosta all’edicola per comprare l’ultimo numero del Messaggero.
Leggendo le notizie, Francesco Pannofino ricorda di aver sentito “i colpi” molto simili a quelli di “un martello pneumatico” che ricollegò immediatamente a degli spari e che durarono pochissimi minuti – secondo il suo racconto non più di tre – lasciando poi lo spazio ad “un silenzio pesantissimo“, quasi come se la realtà si fosse sospesa, che anticipò “le urla della ragazza dell’edicolante”: si trovò così davanti alla “mattanza” ed avvicinandosi alla scena vide il cadavere di “Raffaele Iozzino” e il collega “Francesco Zizzi” ancora in vita “con la testa piegata sul busto e pieno di sangue”.