Ucraina, rapporti con gli USA, presenza in Africa, strategie europee: Macron ha capito che per tutto questo la Francia ha bisogno dell’Italia di Giorgia Meloni. Ma sa anche che ci sono dossier su cui l’Eliseo e Palazzo Chigi devono avere il tempo di confrontarsi e trovare un equilibrio.
Per questo, spiega Francesco De Remigis, giornalista già corrispondente da Parigi, il faccia a faccia a Roma tra i due rappresentanti di Italia e Francia è stato parco di particolari, anche se i dossier su cui Meloni e Macron vogliono lavorare insieme sono noti. Entrambi sanno che è meglio per tutti parlarsi, anche per l’Unione Europea, ma anche che due anni di screzi non si cancellano in due secondi, soprattutto se poi bisogna rendere conto all’opinione pubblica di quello che si sta facendo.
Un comunicato congiunto, nessuna conferenza stampa dopo l’incontro. Perché questa scelta di riserbo?
Se pensiamo alla lunga cena di lavoro a Marsiglia nel settembre 2021, tra Mario Draghi ed Emmanuel Macron, possiamo intravedere dei punti di contatto, anche se siamo in un’altra epoca, e con un governo politico a Roma. Forma e riserbo, cena, niente conferenza stampa, lasciano però intravedere dei punti di contatto con quell’incontro, anche nella volontà di addivenire a una linea quanto più comune possibile sulle crisi internazionali.
È stato Macron a chiedere il bilaterale. Sappiamo che si è parlato di Ucraina. Il presidente francese cerca sponde? Con quali obiettivi?
Più che una sponda, credo che Macron cerchi, anzi abbia la necessità, di rasserenare i rapporti piuttosto tesi, tanto sul dossier Ucraina quanto su altri fronti emergenziali, dazi inclusi. Ha capito che deve scendere a patti con Meloni, ma non può dirlo pubblicamente, e lo mostrerà di sfuggita con le azioni. E va a caccia, dunque, di convergenze, partendo però da posizioni quasi agli antipodi o comunque diverse negli approcci. Sempre riavvolgendo il nastro, Draghi e Macron parlarono allora di Afghanistan, rifugiati e UE. Stavolta l’Afghanistan è stato sostituito dall’Ucraina e dal Medio Oriente. Due scenari letti in modo molto diverso.
Restiamo all’Ucraina, le notizie sono drammatiche.
Per ciò che hanno dovuto discutere faccia a faccia Meloni e Macron, inclusi gli scenari peggiori ventilati da Mosca, il riserbo era necessario, vista la piega che sta prendendo la guerra della Federazione e le nuove minacce russe. Anche quella commerciale, relativa ai dazi, è una guerra. E non ci si può esporre a domande e risposte su questi due dossier che richiedono riflessione, strategia e prospettiva tutta ancora da costruire assieme. Tornare a parlarsi, dopo due anni e mezzo di screzi, tensioni e accapigliamenti vari tra i due, e, a onor del vero, con svariati macroniani che hanno avuto parole al vetriolo in questi anni sull’azione del governo Meloni, è una necessità.
La voce “rapporti bilaterali” può voler dire tutto. Forse ci siamo precipitati a scrivere in anticipo una possibile “agenda” sulla base degli storici dossier più controversi: armi, banche, Stellantis, Merz. E, perché no, Libia. Erano temi sul tavolo? Oppure i temi di politica europea saranno stati più rilevanti?
Tolti i problemi sull’immigrazione, risolti di fatto dalla vittoria italiana sulle modifiche al Piano asilo e immigrazione dell’UE, ormai portate a casa, e i rapporti strettissimi tra Italia e Francia, il cui interscambio è pari a circa 108 miliardi di euro, c’è anche una rinnovata cooperazione, migliorata nell’ultimo semestre, tra Mentone e Ventimiglia, ad animare la visita e i dossier economici, banche e produzione industriale incluse, come dimostrano le connessioni tra Leonardo e Thales. La visita di Macron, in attesa di sviscerarla meglio, è comunque un riconoscimento dell’Italia e del ruolo guadagnato sul campo in due anni e mezzo da Meloni. Non che avesse bisogno di farsi vedere assieme a un leader dimezzato politicamente come Macron, ma del presidente francese sì. Ne hanno bisogno entrambi, e per ragioni diverse.
Quali sono i dossier più caldi tra Roma e Parigi?
Sull’immigrazione, Meloni ha già individuato le priorità, sposate di fatto da von der Leyen e dall’UE. Le accuse di disumanità scagliate da alcuni macroniani di governo, da governi poi andati in crisi, hanno lasciato spazio ad azioni sempre più concrete e concertate in campo UE. Resta l’Africa il dossier più caldo tra Roma e Parigi. Un continente dove, in Libia, la Francia ha operato senza concertare quasi nulla con l’UE, giocando, o meglio provando a giocare, una partita in solitaria puntando ad avere vantaggi dopo aver perso la sua influenza in altri Paesi africani, la cosiddetta ex Françafrique. Per il resto energia nucleare e aerospazio sono tra i punti di maggiore convergenza, oltre a investimenti pubblici e privati per ridare slancio all’industria, automobilistica e siderurgica, che richiedono un forte impegno europeo in quanto entrambi in transizione, ma anche cooperazione in settori più avanzati come l’intelligenza artificiale. Insieme, c’è la volontà di portare alcuni di questi temi al prossimo Consiglio europeo. Macron e Meloni hanno dato vita a una sorta di tabella di marcia tematica con appuntamento, una sorta di “tagliando”, a inizio 2026 a Parigi.
A tuo avviso il canale che si definisce preferenziale della Meloni con la Casa Bianca ha avuto un ruolo nel colloquio?
Era già noto, e il fatto che sia stato mediato un incontro a Roma tra il vicepresidente Vance e la presidente della Commissione von der Leyen lo ha ribadito e gli ha dato corpo. Macron ha la bomba atomica come elemento di pressione e una storia di bilaterali con Washington diversa. In una fase muscolare di Trump sono necessarie entrambe, per trattare. L’aspetto militare e quello diplomatico, i rapporti personali e quelli economici. Credo che Macron lo abbia capito, o gliel’abbiano fatto capire. Le triangolazioni che Roma e Parigi possono costruire per l’UE servono. Ed anche per l’interesse nazionale dei reciproci Paesi.
Per lungo tempo, cioè durante la lunga parentesi “tecnica” o a guida Pd, fino a Draghi compreso, ad avere un rapporto preferenziale con l’Eliseo è stato il Quirinale. Chigi sposava la linea del Colle. Cosa è cambiato con la Meloni al governo? deve riscrivere una relazione? Deve farlo l’Eliseo?
Vero che il Quirinale è stato il canale preferenziale, per Macron, a lungo. Ma è vero pure che il Trattato del Quirinale, firmato in quegli anni, non è mai di fatto decollato. Neppure al 50 per cento dei piani. Il fatto che sia tornata la politica ad animare le scelte di Roma, anche in modo controverso agli occhi di un Eliseo a guida liberale, potrebbe dare una spinta all’idea di rinforzare i rapporti bilaterali insita in quel Trattato. Ma con nuovi pesi, nuovi argomenti. Se pensiamo che le idee dell’attuale ministro dell’Interno francese sono molto più in linea con quelle del governo Meloni che con quelle di tutti i precedenti governi macroniani, dobbiamo pensare che sarà più facile anche parlarsi, anche se non siamo ancora alla convocazione di consigli dei ministri in comune… Ma la politica è la ricerca continua di posizioni comuni, fare sintesi, è l’arte del possibile. Ed è oggi una necessità, per Meloni per alcuni versi, per Macron per altri.
Si parla anche di un antagonismo in UE, tra Roma e Parigi. Quanto pesa l’accusa di un’Italia isolata?
L’Italia in UE oggi ha due voci: quella tecnica di Draghi e Letta, i cui rapporti commissionati si discutono a Bruxelles, ereditata, e quella politica di Meloni, costruita con fatica ma ormai visibile a occhio nudo, e che sta via via cambiando certi orientamenti fallimentari come quelli forzati contenuti nel Green Deal. Parigi ha la necessità di contenere un bel po’ l’attivismo e l’azione di Palazzo Chigi. Ma deve pure accogliere il suo expertise su vari dossier, ed anche sul da farsi in Ucraina. Voci belliciste come quella dell’Alto rappresentante Kallas sono fuori dal tempo e dagli eventi, e Macron sembra ormai disposto ad accogliere gli inviti a disarmare anche, anzitutto, le parole.
Merz e Macron si sono già incontrati. Cosa c’è dietro questo bilaterale con Meloni?
Se pensiamo che l’arrivo di Merz come cancelliere tedesco ha notevolmente ridimensionato l’idea di Macron, che fino a pochi giorni fa spiegava pubblicamente che la chiave di tutto, per riuscire in Ucraina, stava nel mandare truppe a Kiev, oggi le cose stanno molto diversamente. E credo che, tra l’ipotesi di estendere l’articolo 5 della NATO all’Ucraina, ventilata in passato da Meloni, e spedire soldati franco-britannici a supporto dell’esercito ucraino, assieme, pur nella competizione che resta tra le due capitali, Roma e Parigi possano dar vita a una nuova ipotesi per fare da contraltare all’attuale stallo diplomatico.
(Max Ferrario)
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