Italia e supereroi: non capita spesso che questi due insiemi si intersechino sul grande schermo. Oltre ai due Il ragazzo invisibile di Salvatores, diretti principalmente a un pubblico adolescenziale, resta solo un altro esempio rilevante che emerge dalla cinematografia degli ultimi anni: Lo chiamavano Jeeg Robot, di Gabriele Mainetti. Un film sporco, con i piedi per terra, il cui protagonista inaugura i suoi poteri rapinando un Bancomat, ma riuscirà entro la fine della pellicola a comprendere cosa rende un eroe tale. Sei anni dopo Mainetti torna a trattare eroi al cinema con Freaks Out, ma in una veste nuova: non più i giorni nostri ma la Seconda guerra mondiale, non più dei mafiosi come antagonisti ma un nazista squilibrato; cambia il budget, vertiginosamente alto, ma rimane il romanaccio. E il cuore, si spera.
Nell’Italia devastata dalla guerra, l’ebreo Israel (Giorgio Tirabassi) conduce un circo itinerante composto da freaks dotati di capacità incredibili: Cencio (Pietro Castellitto), canaglia in grado di controllare gli insetti; Mario (Giancarlo Martini), poco cervello e grande cuore, oltre al controllo sul metallo; Fulvio (Claudio Santamaria), scontroso uomo-Chewbacca dotato di forza sovrumana, e Matilde (Aurora Giovinazzo), il cui tocco folgorante la condanna a un’esistenza priva di contatti fisici. In seguito all’armistizio con gli Alleati e all’offensiva tedesca. i cinque compagni tenteranno di fuggire in America, senza sapere di essere caduti nelle mire di Franz (Franz Rogowski), direttore di un grottesco circo nazista che crede di poter vedere il futuro. La complessità nel mettere in scena un soggetto simile è evidente: si parla di un film corale, ambientato in un’epoca diversa dalla nostra, pieno di scene d’azione e location fantasiose che necessitano di un grande dispiego di effetti.
Una cosa è assolutamente certa: per quanto concerne l’aspetto visivo Freaks Out ha saputo far contare ogni singolo centesimo, producendo immagini che non hanno niente da invidiare a quelle delle grandi produzioni Marvel o DC. Se da una parte non mancano esplosioni e sfoggi di poteri straordinari, dall’altra ciò che rimane davvero impresso è come questi strumenti vengano utilizzati ai fini della narrazione: gli insettini controllati dal personaggio di Castellitto si producono in coreografie impressionanti tanto per la computer grafica quanto per i brani classici da cui vengono accompagnati, e di cui il film fa un uso eccellente in molte altre scene; l’elettricità di Matilde, vera protagonista della pellicola, è messa in scena in maniera spettacolare, con lampi di luce che delineano le ossa e i vasi sanguigni della fanciulla, ma a che varrebbe tale resa grafica senza il rapporto tormentato che lega la ragazza ai suoi poteri?
Potrebbe suonare scontato e banale, ma ciò che distingue questo film da altri titoli del genere è proprio l’avere una personalità, data dalla visione di un regista che è fermamente portato a lasciare la sua impronta piuttosto che conformarsi a uno standard già visto. Freaks Out è pieno zeppo di momenti memorabili, primi fra tutti l’introduzione dei protagonisti – una performance che scalda il cuore, salvo poi darti un pugno allo stomaco ricordandoti del periodo in cui vivono – e una scena psichedelica incentrata sull’antagonista, concettualmente intrigante e realizzata con tale potenza visiva da far tremare. Queste intuizioni prendono vita grazie al sopracitato impiego della musica, che merita ulteriore plauso, e la scenografia: a far da sfondo agli eventi non è la reale Roma del 1943, ma una sua versione fantastica, dove la città quasi si compenetra con la natura circostante e un mostruoso circo nazista torreggia a fianco degli edifici storici, attirando artisti di strada ignari dei mostruosi esperimenti che si svolgono al di sotto di esso.
Parlando appunto dei nostri protagonisti, due in particolare spiccano sopra gli altri per interpretazione e scrittura. La prima è Matilde, che pur seguendo il classico percorso del giovane eroe costretto a scendere a patti con la propria diversità è impreziosita dalla performance di Aurora Giovinazzo: che sia nei momenti di crisi del suo personaggio, separato in tempo di guerra dalla sua figura di riferimento e gravato da una potenza distruttiva che non sa controllare, o in quelli di riscatto, che emergono di prepotenza nel finale, l’attrice si dimostra in grado di raggiungere il cuore dello spettatore. L’altra faccia della medaglia è costituita dal mostruoso Franz, sfaccettato ma non umanizzato, artista, esaltato e freak non meno dei buoni: Mainetti sembra avere una passione per gli antagonisti patetici, e a differenza dello “Zingaro” di Lo chiamavano Jeeg Robot il nazista di Franz Rogowski non risulta superficiale pur rimanendo fumettosamente macchiettistico, grazie anche all’ampio approfondimento che gli viene concesso e alle affascinanti implicazioni del suo potere. Un uguale lavoro non è stato purtroppo svolto per il resto dei protagonisti, che funzionano sì insieme, dando vita a gran parte delle gag della pellicola, ma vengono lasciati un po’ a loro stessi. Il che ci conduce al problema principale della pellicola.
Freaks Out presenta al suo interno una citazione al Mago di Oz, e non sarebbe sorprendente scoprire che quest’opera è stata di ispirazione per il concepimento dei fenomeni da baraccone del film. Tuttavia, pur presentando personaggi molto archetipici, il celebre libro/film fa una cosa che Mainetti si scorda, cioè dedicare a ciascuno di essi un arco narrativo. Mentre si potrebbe perdonare una certa staticità nel campo dei comprimari, questa mancanza di direzione contagia anche la protagonista: Matilde supera le sue insicurezze, e se si chiudono un po’ gli occhi si può immaginare un’evoluzione che porti a tale momento, ma la verità è che la sua crescita avviene più perché deve avvenire che per un processo organico. In generale Freaks Out, che seguendo la più semplice delle strutture narrative sarebbe stato una gemma del genere, tende molto a girare su se stesso, confezionando momenti indimenticabili che però mancano di connettori. Il villain è carismatico, ma passa metà del film a complottare senza fare granché e si trascina oltre il climax del film, prolungandone eccessivamente la durata. Il più grande spreco tuttavia sono le dinamiche dei quattro protagonisti, sacrificate dal fatto che vengano tenuti separati per gran parte dello svolgimento, impedendo a noi spettatori di gustarci la loro trasformazione da banda di disadattati a eroi.
C’è una tendenza, nel nostro Paese, a denigrare tutto ciò che proviene da esso, ed è tanto forte da permeare la nostra cultura: ad esempio di ciò ho fatto fatica a non precisare nelle righe precedenti che Freaks Out “non sembra un film italiano”, perché Mainetti ha dimostrato che il nostro cinema non deve essere sempre e comunque il drammone piccolo-borghese, ma può rivelarsi anche colorato, energico e pieno di inventiva. Se criticare tutto ciò che è italiano porta a un atteggiamento disfattista nei confronti delle nostre capacità, va evitato anche l’estremo opposto: certo possiamo vantarci di come Freaks Out sia ben più autoriale e curato di molti fin Marvel, ma è lungi dall’essere perfetto, e in termini di struttura narrativa non gli sarebbe guastato prendere esempio da un Guardiani della Galassia. Bisogna trovare il giusto equilibrio, saper guardare oltre la nazionalità di un prodotto e valutarne pregi e difetti: nel caso di Freaks Out, i primi superano ampiamente i secondi.
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