Chi è Gabriella Alletto: la figura chiave nell’omicidio di Marta Russo
Tra le figure centrali nel controverso caso di Marta Russo – questa sera al centro della consueto puntata del mercoledì di ‘Linea di confine’, su Rai 2 – c’è sicuramente quella Gabriella Alletto che permise di incastrare gli assistenti Giovanni Scattone e Salvatore Ferraro e di farli condannare – nonostante loro si continuino a professare del tutto innocenti – per un delitto che ancora oggi appare avvolto da numerosi dubbi e misteri: al di là dell’omicidio e dei due condannati (sui quali troverete tutti i dettagli in altri articoli già pubblicati su queste stesse pagine), qui vorremo soffermarci solamente sulla figura di Gabriella Alletto per approfondire il suo ruolo in questa singolare vicenda.
L’attenzione attorno a Gabriella Alletto iniziò a farsi alta nella fase clou delle indagini quando gli inquirenti trovarono alcune tracce compatibili con uno sparo in un’aula dell’edificio di Giurisprudenza: a collocare la dipendente della Sapienza al suo interno fu la dottoranda Maria Chiara Lipari che parlò di una relazione “subliminale” tra Alletto e Francesco Liparota che si consumava proprio all’interno di quell’aula; finendo – di fatto – al primissimo posto nella lista dei sospettati.
Il controverso interrogatorio a Gabriella Alletto: la testimonianza sul caso Marta Russo estorta dopo 12 ore di domande?
Complessivamente, Gabriella Alletto fu interrogata per tredici volte nell’arco di soli tre giorni: per 12 volte consecutive negò di essere presente in quella stanza nel giorno dello sparo a Marta Russo, negò qualsiasi coinvolgimento e non fece alcun nome; mentre tutto cambiò la 13esima volta quando fu (letteralmente) torchiata per 12 ore consecutive dagli inquirenti e fece i nomi di quelli poi divennero i due condannati per la morte della studentessa, sostenendo che Scattone sparò accidentalmente e che Ferraro lo aiutò a coprire l’accaduto portando via la pistola.
La ragione per cui la testimonianza di Gabriella Alletto ancora oggi viene definita inattendibile da molti è che ci sono prove chiare – legate ai nastri originali dell’interrogatorio diffusi da Radio Radicale dopo l’inizio del processo ufficiale – delle enormi pressioni esercitate degli inquirenti sulla donna affinché facesse i nomi dei due assistenti, al punto che il procuratore Italo Ormanni arrivò a dirle chiaramente che “lei è messa male” perché “o è responsabile dell’omicidio o di favoreggiamento”, nonostante il suo nome non fosse incluso nel registro degli indagati.
Più tardi sulla testimonianza di Gabriella Alletto vennero fuori anche minacce a condanne improbabili a 24 anni di carcere se non avesse parlato, altre alla rimozione della patria potestà dei suoi figli ed addrittura un elenco di nomi mostrati alla donna per “aiutarla a ricordare”, il tutto mentre lei per quattro ore consecutive ripeté che in quella stanza, quel giorno, non ci sarebbe mai entrata: l’interrogatorio finì al centro di un’interrogazione parlamentare e di un processo, dal quale – quasi ovviamente – gli agenti ne uscirono puliti nonostante la corte riconobbe i metodi poco ortodossi utilizzati e il mancato rispetto delle procedure quando si interroga una persona non indagata.