Delitto Garlasco, l'analisi di Gianluigi Nuzzi sulla pista dell'arma del delitto nel canale e le indagini su Andrea Sempio
Delitto Garlasco, alla luce degli ultimi risvolti nell’inchiesta sul caso, tra nuovi indagati, supertestimoni e indizi che incastrerebbero Andrea Sempio dopo 17 anni, il giornalista Gianluigi Nuzzi, in un articolo di approfondimento sul quotidiano La Stampa, analizza tutte le fragilità della nuova pista sulla quale ora gli investigatori si stanno concentrando, che confermerebbero una profonda inefficienza del sistema giudiziario italiano, ostaggio di troppe inaffidabilità.
Partendo proprio dalle prove a carico del principale nuovo imputato infatti, nonostante le nuove perquisizioni e gli accertamenti fatti tramite analisi del Dna, che dovranno stabilire con esattezza la compatibilità del materiale genetico trovato sotto le unghie di Chiara Poggi, tutti gli indizi sembrerebbero essere gli stessi rispetto ai reperti già archiviati 11 anni fa nel corso del primo processo. Passando poi all’oggetto, che potrebbe essere l’arma del delitto, gettato nel canale vicino alla casa dei nonni delle gemelle Paola e Stefania Cappa, anche in questo caso le ricerche potrebbero non dare i risultati sperati, visto che un eventuale utensile ritrovato potrebbe non essere analizzabile dato il tempo trascorso sul fondale.
Delitto Garlasco, Nuzzi: “Le fragilità della nuova pista evidenziano l’inaffidabilità della giustizia”
Garlasco, l’ultimo colpo di scena dopo la riapertura dell’inchiesta, è il testimone che ha affermato solo adesso, dopo quasi 18 anni, di aver visto la mattina dell’omicidio una ragazza bionda con i capelli a caschetto che gettava nel canale un oggetto simile ad un piedistallo da camino, compatibile con l’identikit dell’arma del delitto fatto durante il processo contro Alberto Stasi, che non è mai stata ritrovata. Su questa nuova pista si è concentrata anche l’analisi di Gianluigi Nuzzi, che ha sottolineato la fragilità sia del cosiddetto supertestimone, che dell’attendibilità di un eventuale ritrovamento di un qualche reperto che potrebbe ormai essere contaminato, oltre al fatto che non è possibile confrontarlo con quello usato per l’omicidio visto che non c’è una foto dell’arma ma solo una descrizione emersa dalle perizie.
Tutto ciò, mette in evidenza una certa inaffidabilità della giustizia, che riprende un caso irrisolto aggrappandosi a deboli elementi e con una verità che sembra ancora lontana, e questa percezione si aggraverebbe ulteriormente se Stasi, che ha già scontato 16 anni di carcere, dovesse essere riabilitato da innocente.