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Home » Esteri » GAZA/ La “strategia” di Netanyahu, Smotrich e Ben-Gvir per servirsi di Hamas contro i palestinesi

  • Esteri

GAZA/ La “strategia” di Netanyahu, Smotrich e Ben-Gvir per servirsi di Hamas contro i palestinesi

La nuova operazione dello Stato ebraico finalizzata ad espellere totalmente i palestinesi da Gaza avrà costi crescenti anche per Israele

Giorgio Laici
Pubblicato 7 Giugno 2025
Trasporto di vittime palestinesi dopo un bombardamento israeliano a Rafah (Ansa)

Trasporto di vittime palestinesi dopo un bombardamento israeliano a Rafah (Ansa)

Il 4 maggio scorso il governo israeliano ha aumentato l’intensità e la portata della guerra a Gaza con l’operazione “Carri di Gedeone”, che prevede non solo l’annientamento di Hamas e la sua estromissione dalla gestione degli aiuti, ma anche il controllo militare totale della Striscia a tempo indeterminato. Netanyahu, in questo contesto, è incurante delle criticità derivanti dall’espansione e dall’inasprimento del conflitto.


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Dal terribile 7 ottobre 2023, Hamas, su 255 ostaggi catturati, ne detiene ancora 58, di cui 20 forse vivi e tra questi nessun bambino. E mentre tutti i negoziati per il cessate il fuoco o anche solo per il rilascio degli ostaggi sembrano naufragare, questa offensiva sta esponendo Israele a un dissenso di proporzioni mondiali.


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L’estremismo dei due ministri Bezalel Smotrich e Itamar Ben-Gvir, essenziali per la tenuta del governo, sta fruttando a Netanyahu anche un dissenso interno mai visto prima. Questo perché Israele e il suo governo si reggono sul consenso dei due partitini estremisti di Smotrich e Ben-Gvir, rappresentanti di minoranze religiose e coloni, e sulla dipendenza politica derivante dai guai legali di Netanyahu. Minoranze estremiste che gettano continuamente benzina sul fuoco sostenendo la continuazione ideologica e militare della guerra, per l’occupazione permanente, l’espansione degli insediamenti ebraici e la completa sovranità su Gaza.


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Tutto ciò allontana gli obiettivi di Israele dai possibili piani del governo per ottenerli, cioè eradicazione di Hamas e liberazione degli ostaggi. Poi, soprattutto, mina la sicurezza di Israele anziché rafforzarla.

All’inizio delle ostilità a Gaza, la strategia prevedeva di rimuovere la minaccia terroristica a Israele da Gaza a lungo termine, abbattere le capacità militari di Hamas e creare zone cuscinetto all’interno e intorno al territorio, fino a creare le condizioni per il ritorno di tutti gli ostaggi. Questa visione, nel tempo, si è scontrata in misura sempre maggiore con quella massimalista dei partiti di estrema destra, per i quali “Gaza è Israele” e ad Israele deve ritornare, anche a costo del sacrificio degli ostaggi.

Hamas, da parte sua, ha sfruttato a suo vantaggio il territorio urbano, comprese le centinaia di chilometri di tunnel. Ha trasformato i civili di Gaza in scudi umani e adibito ospedali, scuole e siti ONU a siti militari. Ha utilizzato gli aiuti umanitari per controllare la popolazione e finanziare la sua struttura militare. Con tattiche elusive, ha optato per la guerriglia piuttosto che per le battaglie campali, rientrando nei territori con l’allontanarsi dell’IDF.

Ora la nuova strategia dello Stato ebraico mira ad allontanare Hamas dalla popolazione e dalla gestione degli aiuti umanitari e a negare ai miliziani di operare in aree densamente popolate. Per questo il piano prevede l’evacuazione dell’intera popolazione dalle zone di combattimento prescelte, la Striscia settentrionale, dirottando la popolazione verso altre aree dove saranno forniti aiuti umanitari da una ONG statunitense. Tutto questo fino alla completa distruzione di Hamas.

Questa evoluzione del conflitto sta portando a un allungamento abnorme della guerra, con costi crescenti, senza una chiara strategia. Lo stesso Netanyahu aveva in precedenza evitato guerre prolungate, preferendo operazioni brevi e dai costi contenuti. Ma ora lo stato di guerra formale e la campagna di Gaza hanno conferito al governo Netanyahu poteri di emergenza e una notevole libertà d’azione.

Sembra dunque che Netanyahu abbia bisogno del prolungamento della guerra, e continua a procrastinare tutte le decisioni, prima su tutte quella sul trapasso dei poteri all’ANP, che chiuderebbe la strada al rientro di Hamas. Parimenti, la guerra serve a rimuovere funzionari che difendono lo stato di diritto, come il procuratore generale israeliano o il capo dello Shin Bet, l’agenzia di sicurezza israeliana. Specialmente con l’avvio dell’indagine sul “Qatargate”, ovvero il sospetto intervento di una potenza straniera sul primo ministro, in tempo di guerra.

In queste condizioni, la fine della guerra arriverà solo quando il governo si scontrerà con la dura realtà, sui costi in vite umane, economici e politici. Sia a seguito della schiacciante pressione internazionale, con Donald Trump forse unico ostacolo alla guerra, qualora lo volesse. Oppure se una crisi politica porterà a un divario incolmabile tra il governo e la volontà popolare israeliana. Fino ad allora, la guerra continuerà e si espanderà con costi crescenti per i gazawi e per gli israeliani.

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Tags: HamasBenjamin Netanyahu

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