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Home » Esteri » Medio Oriente » GAZA/ “Netanyahu è pro-Hamas per continuare la pulizia etnica, solo Trump può fermarlo. E l’Arabia…”

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GAZA/ “Netanyahu è pro-Hamas per continuare la pulizia etnica, solo Trump può fermarlo. E l’Arabia…”

Israele vuole attaccare ancora Gaza e occuparla, ma deve aspettare Trump, che potrebbe dire no per non mandare all’aria i suoi affari con i sauditi

Int. Ugo Tramballi
Pubblicato 7 Maggio 2025
Netanyahu da Trump

Donald Trump con Bibi Netanyahu, vertice Usa-Israele alla Casa Bianca (ANSA-EPA 2025)

Non c’è fine all’immane tragedia di Gaza. Dopo le distruzioni di questi 19 mesi di guerra, il governo di Netanyahu ha varato un piano per un attacco massiccio nella Striscia, occupando una parte del territorio e spingendo i palestinesi a sud dell’area. Un programma che sa tanto di inizio di deportazione, al quale solo Francia e Cina, almeno a parole, si oppongono, ma che rimane sub iudice per qualche giorno. Verrà attuato, infatti, solo dopo la fine del viaggio di Trump in Medio Oriente della prossima settimana, esercitando nel frattempo una pressione su Hamas perché accetti di liberare gli ostaggi.


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In realtà, spiega Ugo Tramballi, editorialista de Il Sole 24 Ore e consigliere scientifico dell’ISPI, solo il presidente americano può far finire la guerra. Sul suo giudizio potrebbe pesare la posizione dell’Arabia Saudita, pronta a fare affari plurimiliardari con gli USA, ma a patto che si cominci a trattare per uno Stato palestinese. Netanyahu non lo farà mai, anche perché ha bisogno della guerra per tenere in piedi il suo governo.


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Dove porta questa nuova decisione del governo israeliano, come al solito senza sostanziali reazioni da parte della comunità internazionale?

Agli israeliani non interessa cosa diciamo noi europei, cosa dicono in Medio Oriente o in Cina. Interessa solo cosa dicono gli americani, perché Israele non può essere la potenza militare che è senza l’aiuto USA. Il piano che è stato varato dal governo può essere una sorta di pressione su Hamas per un accordo sugli ostaggi, anche se poi l’organizzazione palestinese ormai la sua proposta su questo l’ha fatta, e partirà eventualmente dopo l’arrivo di Trump in Medio Oriente.


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Hamas ha reagito per bocca di un suo funzionario, sostenendo che non ha senso continuare i negoziati se Israele prende per fame la gente di Gaza. Tanto più se poi nel futuro c’è un piano che prevede un’occupazione israeliana. Ormai anche la minima possibilità di dialogo è svanita?

Netanyahu ha annunciato cosa è pronto a fare: per lui è una necessità, indispensabile per tenere in piedi il suo governo di estrema destra, razzista, che vuole riannettere Gaza e la Cisgiordania. Hamas, già qualche settimana fa, aveva proposto di liberare tutti gli ostaggi in cambio di una tregua di cinque anni. Il problema, però, è che da una parte Hamas non vuole restituire gli ostaggi lasciando che gli israeliani rimangano a Gaza, mentre dall’altra Israele non vuole togliersi dalla Striscia lasciando che l’organizzazione palestinese continui a governare.

Tra l’altro, nessuno è pronto a spendere soldi per la ricostruzione se Hamas rimarrà dov’è. Insomma, la trattativa è totalmente bloccata. E Israele ne approfitta per la sua operazione, perché sotto sotto l’ambizione è sempre quella di buttare fuori i palestinesi e rioccupare Gaza rimettendoci i coloni.

L’applicazione o meno del piano dipenderà anche da cosa diranno a Trump i Paesi del Golfo nei prossimi giorni?

Certo. Trump è l’unico che può fermare il piano del governo. Punta a realizzare un grande business in Medio Oriente, con Qatar, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita. I sauditi vogliono sviluppare un programma di produzione di energia nucleare, comprando le infrastrutture dagli americani; vogliono costruire nel deserto Neom, la supermetropoli del futuro.

Ma è difficile che portino avanti i loro affari se Israele non si ferma a Gaza. All’Arabia Saudita non interessa molto dei palestinesi, ma molti non vedono di buon occhio le riforme sociali di Mohammed Bin Salman, che non può procedere se non vengono avviate trattative per il futuro Stato palestinese. I 40 milioni di abitanti dell’Arabia Saudita vengono da decenni di wahhabismo, di estremismo islamico, e non possono accettare che non venga considerata la questione palestinese. È l’unico appiglio a cui Trump si può aggrappare per porre fine alla guerra.

Ma l’idea di trasformare Gaza nella “riviera del Medio Oriente” Trump l’ha ancora in mente?

Dubito fortemente. Non credo che Trump possa ribadirla davanti ai sauditi. Riyad, comunque, è pronta a mettere i soldi per la ricostruzione di Gaza, ma vuole che Hamas venga tagliata fuori. Nessuno vuole più avere a che fare con Hamas: non è un interlocutore. Come si fa a investire se rimane?

Sì, ma alla fine come si fa a togliere di mezzo Hamas?

Il vero responsabile è Netanyahu: ha iniziato e continua questa guerra senza una proposta politica per il dopo. Non può dire che vogliono fare pulizia etnica o un massacro, e non vuole creare le opportunità per far rientrare l’Autorità Nazionale Palestinese a Gaza in modo che si sostituisca ad Hamas. Paradossalmente, è proprio Netanyahu che non vuole che Hamas venga tagliata fuori: è sempre stata, anche prima di questa guerra, la giustificazione dei suoi comportamenti, perché aveva buon gioco a dire che Hamas vuole distruggere Israele. Gli fa comodo che sopravviva, per questo non ha mosso un dito per l’ANP, anche se quest’ultima ha riconosciuto il diritto di Israele a esistere.

Il problema è sempre quello: come si toglie di mezzo Hamas. Dovremmo attenderci che Netanyahu favorisca in qualche modo la nascita di un’alternativa seria in campo palestinese?

La realtà è che una soluzione non c’è: gli israeliani non seguiranno questa strada, anche perché questo governo sopravvive grazie alla guerra. L’unico modo per sconfiggere Hamas è avviare una soluzione politica del conflitto, escludendo dai giochi l’organizzazione palestinese.

Ma gli israeliani non lo faranno mai. Sarebbe un modo per passare la palla ai Paesi arabi. Sarebbe come dire loro: “Vogliamo la pace, ma Hamas ce lo impedisce; pensateci voi a farla fuori”. Potrebbero mettere a disposizione le armi, gli aiuti logistici e far intervenire una missione internazionale panaraba e fare in modo che i palestinesi di Gaza, che di Hamas non ne possono più, sostengano questo piano.

Il piano di Netanyahu, a parte l’ipocrisia degli aiuti umanitari (ma solo quelli essenziali) che ricomincerebbero ad affluire, di fatto sarebbe l’inizio di una effettiva occupazione della Striscia?

Ha tutta l’aria di essere il primo passo di una pulizia etnica: si comincia a svuotare una parte di Gaza, ad aumentare la presenza israeliana, magari anche a iniziare una ricostruzione, anche se non per i palestinesi.

A Gaza si muore di fame e di sete, non arrivano aiuti da tempo, tutto è distrutto. Al di là delle gravissime responsabilità di Israele, possiamo parlare di una omissione di soccorso da parte dell’Occidente?

È vero, c’è stata l’aggressione del 7 Ottobre, che peraltro è il frutto perverso e malato di decenni di occupazione, ma a nessun Paese al mondo è concesso impunemente di fare quello che sta facendo Israele, grazie anche a una grande copertura americana, con Biden come con Trump.

Alla fine, comunque, il piano del governo israeliano dipenderà dall’esito del viaggio di Trump?

Sì, tenendo conto, comunque, che se Netanyahu finisce la guerra di Gaza perde la maggioranza, perché gli estremisti gli toglierebbero la maggioranza in Parlamento e si andrebbe a elezioni. Il premier dovrà aspettare e sentire cosa gli diranno gli USA, ma ha i suoi interessi da difendere.

(Paolo Rossetti)

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Tags: Benjamin NetanyahuDonald Trump

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