La distruzione di Gaza perseguita dal governo di Israele per eliminare e cacciare i palestinesi è destinata alla sconfitta
Morire di fame, o rischiare di perdere la vita, colpiti da proiettili che arrivano da ogni direzione, facendo la fila per tentare di accaparrarsi un po’ di cibo ai centri di distribuzione? Un dilemma kafkiano che non consente alcun ottimismo, e che al contrario stigmatizza il male di vivere che oggi soffoca i gazesi.
Tra le macerie e i materiali di risulta post-bombardamenti, Gaza somiglia ai paesaggi apocalittici immaginati nelle filmografie del day after, mentre i camion di container faticano a trasportare i cadaveri dei civili attraverso il ceckpoint di Kerem Shalom verso il cimitero turco di Khan Younis, che però è già saturo.
Una situazione, a 611 giorni dall’inizio della guerra, che sta fortemente deprimendo anche le truppe delle IDF (le forze armate israeliane): sarebbero numerosi i soldati a provare “una grande stanchezza, insieme a una po’ di chiarezza sulla loro missione. Ciò è in parte dovuto anche alle operazioni statiche; il loro compito principale è la demolizione di edifici”, come riportato da Haaretz.
Ma ormai di edifici ancora in piedi ne sono rimasti veramente pochissimi, e anche quelli non in buone condizioni o inagibili. Per di più, Tel Aviv li considera possibili rifugi di Hamas, e quindi bersagli.
Nel frattempo il Gaza Humanitarian Fund (GHF), che gestisce i centri di aiuto, parla di una distribuzione di cibo senza incidenti, distribuzione che però è stata interrotta a causa del sovraffollamento. L’IDF ha detto che al di fuori degli orari designati (6-18), i siti di distribuzione degli aiuti saranno considerati zone militari chiuse e l’ingresso sarà considerato estremamente pericoloso.
È evidente la volontà di Netanyahu di occupare tutta la Striscia, per farne una zona neutrale, una “riviera” alla Trump o un parcheggio, o piuttosto per regalare poi la terra ai neocoloni. Per farlo, servono truppe, tante, anche più di quelle mobilitate con i riservisti. Proprio per questo, il premier aveva stabilito l’arruolamento degli ultraortodossi (fin dal 1948 esclusi dalla leva).
Aveva, perché Bibi s’è già dovuto ricredere, e non perché l’IDF si sia accorta di poterne fare a meno, ma per salvare la sua poltrona e la coalizione di governo, messa in bilico dal partito “Giudaismo Unito della Torah” (UTJ), che ha minacciato lo scioglimento della Knesset, pur di preservare gli ultraortodossi.
Mentre l’operazione “Carri di Gedeone” a missili e cannonate solleva altra polvere sui resti di Gaza, e aggiunge numeri alla macabra contabilità di guerra (Hamas parla di 54.722 vittime, ma è un dato non verificato da fonti indipendenti), si calcola che circa 60mila israeliani abbiano lasciato il Paese l’anno scorso e non siano tornati, più del doppio del numero nel 2023. Intanto non smettono le manifestazioni (ogni sabato) per la liberazione degli ostaggi (ne sarebbero ancora in vita solo venti).
Ma a non lasciare spazio ad una possibile soluzione a breve del conflitto, è da una parte il rifiuto di Hamas di ogni disegno di tregua, compreso l’ultimo piano Witkoff, e dall’altra la mancanza israeliana di qualsiasi prospettiva “politica” per il post: Netanyahu rifiuta l’ipotesi di affidare la Striscia all’Autorità palestinese di Abu Mazen, già sufficientemente deligittimato nella West Bank, e nega anche la tesi dei “Due Stati”, di fatto lasciandosi aperta solo la via dell’espropriazione totale e della conseguente deportazione degli abitanti in “Paesi accoglienti”, che al momento sono a dir poco improbabili.
Il futuro di Gaza è quantomai incerto, con lo spettro di essere trasformata in un gigantesco campo profughi di 365 chilometri quadrati, il più grande del mondo, surclassando il record odierno detenuto da Dadaab, in Kenya, che ospita circa mezzo milione di persone.
La tragica impasse si basa su una analisi. Le guerre “tradizionali” un tempo vedevano il nemico capitolare dopo che il territorio e i combattenti risultavano annientati. Ma se a Gaza Israele pensa di potere davvero annientare le guerriglie islamiste solo con missili e bombe, probabilmente commette un errore: la prova di forza potrebbe non riuscire nello scopo, e la guerriglia dei terroristi filoiraniani rischia di proseguire sine die, sotto traccia nei tunnel e nell’erosione carsica che contagia i superstiti delle bombe di Tel Aviv.
Sarebbe interessante sondare la volontà dei residenti sulla creazione di un nuovo governo: Hamas o qualche altro soggetto politico, e non militare (ad oggi di difficile individuazione)? Ma il risultato sarebbe tutt’altro che scontato…
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