Gli ultimi dubbi, i residui benefici di inventario sulle reali intenzioni di Israele nei confronti della Striscia di Gaza sono esplosi con le nuove incursioni dell’IDF (concentrate sul corridoio Netzarim e a Rafah), mentre la possibilità di avanzare con un altro accordo di tregua e di rilascio degli ostaggi (ne sarebbero ancora in vita 24) sembra ormai un’utopia.
I negoziati sono in paralisi, e gli Stati Uniti non sono nemmeno in pressing per riprenderli in fretta, anzi: Donald Trump sarebbe pronto a sostenere Netanyahu se decidesse il via ad una nuova, massiccia operazione di terra. Eyal Zamir, il nuovissimo capo dell’esercito israeliano (nominato da un mese, al posto del defenestrato Ronen Bar), sta mobilitando varie divisioni per l’offensiva.
E tra queste divisioni ne figurano anche certe composte da riservisti, tra le cui fila sta serpeggiando il malcontento, come riporta l’analista Amos Harel su Haaretz, giusto mentre aumenta il fermento tra gli oppositori del governo per la decisione di Netanyahu di licenziare il capo dello Shin Bet, Ronen Bar, con l’Alta Corte che ha congelato il provvedimento, aprendo la strada ad un confronto costituzionale che ha dato nuova vita al movimento di protesta.
Il piano di Zamir è ovviamente sostenuto dagli alleati di estrema destra e fondamentalisti ebraici del governo Netanyahu, e prevede l’occupazione della Striscia, mantenendone il controllo e costringendo i palestinesi in una piccola zona sulla costa. All’esercito toccherebbe il governo del territorio e la distribuzione degli aiuti umanitari ai civili.
Il tutto mentre l’estrema destra nel governo spinge per il ritorno degli insediamenti e l’espulsione forzata dei palestinesi, da presentare come “migrazione volontaria”, con il sostegno di Trump, il quale, messa nel cassetto la sua farneticante idea di una “Gaza Riviera”, vedrebbe comunque l’espulsione dei palestinesi come una valida alternativa.
Trump, l’estrema destra di Ben-Gvir al governo (con il suo leader addirittura nominato ministro alla sicurezza nazionale), la fragilità intrinseca di una tregua imbastita più che altro per rabbonire le famiglie degli ostaggi, l’irriducibilità dimostrata dai miliziani di Hamas con i raggelanti show dei rilasci e i lanci di missili mai veramente cessati, sono la tempesta perfetta in cui Bibi ha aperto il suo ombrello da salvatore della patria (ma soprattutto della sua poltrona), strizzando l’occhio ai neocoloni sempre pronti a nuovi insediamenti (come già ampiamente dimostrato nella West Bank) e ai falchi.
Appena lo scorso gennaio il ministro di ultradestra Bezalel Smotrich aveva dichiarato che Israele “deve occupare Gaza e creare un governo militare temporaneo perché non c’è altro modo per sconfiggere Hamas. Rovescerò il governo – aveva detto – se non tornerà a combattere in un modo che ci porti a prendere il controllo dell’intera Striscia e a governarla”. Ad oggi, il governo non è stato ribaltato, e la guerra totale sembra sempre più vicina.
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