Dall’assemblea di Mps è giunta un’indicazione inequivocabile riguardo l’offerta di scambio lanciata da Siena su Mediobanca: un’affluenza larga di soci (capeggiati dai gruppi Caltagirone e Delfin, affiancati da Banco Bpm e dal Mef) ha dato un largo voto favorevole all’aumento di capitale al servizio dell’offerta.
Ciò è avvenuto comunque non senza leggero un ritocco verso l’alto della quota del gruppo Caltagirone (a ridosso del 10%): sfidando apparentemente sia lo sfavore delle autorità di vigilanza per il ruolo di holding finanziarie/industriali nei nuclei stabili dei grandi intermediari finanziari, sia la conferma – emersa in assemblea – che sussiste tuttora un contenzioso promosso da Caltagirone verso la banca senese per i rapporti finanziari risalenti a prima del dissesto di Siena.
L’amministratore delegato del Monte, Luigi Lovaglio, è d’altronde intervenuto con una puntualizzazione non scontata: se l’offerta su Mediobanca andrà in porto e Siena si ritrovasse al controllo della banca d’affari milanese, la sua partecipazione-gioiello in Generali (12%, finora “golden” nelle nomine dei vertici) diverrebbe “non strategica”. In concreto: verrebbe posta in vendita. Certamente a investitori graditi a Caltagirone e Delfin, da anni “assedianti” sia Mediobanca che Generali. Ma in quale quadro non è affatto scontato, a una settimana dall’assemblea di Trieste, che si svolgerà ancora ad assetti correnti e potrebbe risolversi in chiave di continuità almeno temporanea, disegnando forse scenari alternativi, al momento non prevedibili.
Poche ore prima dell’assemblea Mps, d’altra parte, agli osservatori non era sfuggita un’intervista a Fabrizio Palenzona: l’ex Presidente della Fondazione Crt (tuttora azionista delle Generali con una quota del 2% circa) al momento non ha ruolo formale sullo scacchiere Mediobanca-Generali, ma ne conserva di sostanziali.
A lungo vicinissimo all’allora amministratore delegato di via Filodrammatici, Vicenzo Maranghi, erede di Enrico Cuccia, Palenzona è stato vicepresidente di UniCredit, oggi entrato in Generali con una quota ufficiale del 5%, ma probabilmente in crescita già nelle grandi manovre di avvicinamento all’assemblea. Ha avuto rapporti alterni, ma duraturi con la famiglia Benetton, che dispone di una quota importante a Trieste (vicina al 5%) e non ha ancora espresso orientamenti riguardo la corsa delle tre liste per il rinnovo delle cariche del Leone.
Palenzona ha certamente spezzato una lancia in favore di un aggiustamento degli assetti di controllo delle Generali, ma principalmente rivolto al ruolo di Mediobanca piuttosto che al profilo strategico della compagnia pilotata dal Ceo Philippe Donnet. Ha chiesto al Ceo di Mediobanca, Alberto Nagel, di farsi da parte: dal suo ruolo corrente e da quello storico di azionista-pivot delle Generali. Ma – almeno nei toni – lontano da ogni atteggiamento aggressivo ed ostile: piuttosto aperto a una ricomposizione di equilibri proprietari e strategici, nell’interesse delle Generali.
Nella stessa uscita di Palenzona non è mancata l’apertura di un prospettiva importante: quella dell’ingresso in Generali di un “partner industriale”, potenziale destinatario della quota Mediobanca. Ma l’aspetto decisivo – non chiarito dall’intervista – è se il volto di questo nuovo investitore strategico sarebbe quello di un banchiere italiano, di un altro assicuratore europeo o di un mega-gestore di fondi internazionali. Sarebbero tre casi molto diversi.
E nel primo e più probabile caso (cioè in concreto con l’affaccio strategico di UniCredit o di Intesa Sanpaolo a fianco di Caltagirone e Delfin) è difficile immaginare una cancellazione immediata dell’autonomia della compagnia, laddove sarebbe il partner bancario a subentrare a Mediobanca nel ruolo di garante anche verso Bce e Bankitalia/Ivass.
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