Nel segno del padre, col nome del nonno, lungo la tradizione manifatturiera veneta, c'è un giovane ragazzo che parla e sogna come un navigato imprenditore
Il mese scorso (dal 6 al 9 maggio a fieramilano Rho) si è tenuta LAMIERA 2025, la manifestazione internazionale dedicata al mondo del taglio, deformazione e lavorazione della lamiera. Girando tra gli stand abbiamo incontrato Luca Flavio Carboniero, figlio di Massimo Carboniero e nipote di Flavio, che a Schio, alle porte di Vicenza, ai piedi dell’altopiano di Asiago, nel 1951 fondò la OMERA, oggi tra le più importanti imprese italiane del settore delle macchine utensili per la lavorazione della lamiera, saldamente in mano alla famiglia e con l’headquarter sempre ancorato al territorio vicentino (oggi a Chiuppano).
Buongiorno Luca, eccoci a LAMIERA 2025, mostra di macchine utensili e tecnologie dedicate alla deformazione e il taglio della lamiera, settore ove la sua OMERA è leader di mercato. Cosa ci dice di questa edizione?
LAMIERA è casa. Questa è la 23esima edizione e credo che OMERA ci abbia sempre partecipato. Dovrei chiedere al nonno per esserne sicuro, ma da quando è venuto a mancare, l’anno scorso, per tornare così indietro non resta che attingere agli archivi o ai ricordi di mio padre – sorride, mentre guarda il padre seduto poco distante impegnato con due clienti. Quello di cui sono sicuro è che la nostra azienda recita un ruolo da protagonista nel settore e quindi in questa fiera. L’unica in Italia prettamente dedicata al mondo della deformazione della lamiera.
Di suo nonno Flavio Carboniero, fondatore della OMERA, tra i più importanti innovatori italiani nel campo della meccanica, scomparso nel 2024 all’età di 98 anni, lei porta il nome: ne sente il peso?
Mio nonno è stato una figura “storica” come imprenditore di prima generazione nel territorio vicentino. Per merito delle sue invenzioni in campo metalmeccanico. Ad esempio, nel ’52, progetta la cesoia tagliaferri e successivamente, per venire incontro alla domanda di aziende che lavoravano principalmente nel bianco, le rifilatrici bordatrici, ancora oggi sul mercato. Ma anche per l’impegno per la collettività che ne ha scolpito la figura nella mente dei vicentini che ancora ne ricordano il leitmotiv “un imprenditore deve essere consapevole di esercitare un ruolo sociale“. Non sento il peso ma sento l’orgoglio e il dovere di proseguire lungo questa doppia via che anche mio padre sta percorrendo con grande dedizione.
Non a caso suo padre, Massimo Carboniero, è stato alla guida di UCIMU-SISTEMI PER PRODURRE, l’associazione dei costruttori italiani di macchine utensili, robot e automazione, dal 2016 al 2020…
Sì, ma non solo. Da molti anni è nel Consiglio Generale di CONFINDUSTRIA nazionale, e del Consiglio Generale di FEDERMECCANICA, ed è membro del Consiglio del Territorio del Veneto di Banca Intesa San Paolo. Tutto questo senza mai tralasciare l’impegno in prima persona in azienda ove è stato determinante innovando la parte commerciale e organizzativa dell’azienda che negli anni ha ampliato molto la propria gamma di prodotti e i mercati di destinazione.
(Massimo e Luca Flavio Carboniero)
Ci dica di più.
È un grandissimo lavoratore e mai gli ho sentito dire “sono stanco“. Lui è la seconda generazione, aveva una visione aziendale e commerciale moderna rispetto al nonno. Ha investito sull’estero, ha aperto filiali, ha penetrato nuovi mercati. Per crescere bisogna rischiare, e ha avuto ragione. Sono stato e sono molto fortunato ad avere due esempi così. Da loro ho imparato che per un imprenditore il capitale economico è basilare ma non basta. Servono curiosità e condivisione di idee con le persone, il capitale umano è alla base del fare impresa.
E lei lo vuole fortemente a quanto sembra.
Sì, assolutamente sì. Ogni giorno che entro in azienda mi sento a casa. Oltre la forte passione nei confronti del lavoro che svolgo, sento la responsabilità di dover fare le cose per bene. Lo devo alla mia famiglia, che è proprietaria della OMERA in un mondo in cui sempre più imprese italiane vengono acquisite o inglobate, e lo devo alle più di cento persone che lavorano con noi, alcune delle quali da una vita. Solo per citarne alcune qui presenti allo stand, ci sono i commerciali Roberto Gonzato e Amedeo Battistella che sono entrati a 20 anni in azienda e hanno contribuito negli anni alla nostra crescita. Sono solo una parte della nostra memoria storica.
Lei parla come un imprenditore navigato eppure ha da poco superato i trenta, ci dica qualcosa in più della sua visione aziendale?
Sono rientrato in azienda da 7 anni; ho ripreso il mio percorso in azienda come tecnico commerciale e da quest’anno sono responsabile dell’area commerciale di OMERA. Il grosso sviluppo organizzativo voluto negli ultimi anni, in totale accordo con mio padre, ha spostato l’asse dell’azienda da mera produttrice di prodotti a costruttrice di impianti automatizzati chiavi in mano.
Eravamo già riconosciuti come azienda di processo grazie alle nostre rifilatrici bordatrici. Oggi lo siamo in senso lato: partiamo dal coil di lamiera ed eseguiamo processi di tranciatura e/o imbutitura fino alle operazioni secondarie e accessorie. Sviluppiamo automazione cartesiana o con Robot antropomorfi. Siamo una azienda ad alto tasso di ingegnerizzazione con più di 20 persone in ufficio tecnico tra i quali ingegneri meccanici e meccatronici.
I nostri tecnici di produzione sono specializzati non solo nei montaggi ma anche nel seguire le fasi di Factory Acceptance Test consentendo la prova dell’impianto in automatico in OMERA. Il cliente può visionare il tempo di ciclo, la performance, verificarne il funzionamento della commessa. E poi gestiamo anche fasi di spedizione, con tutto ciò che ne comporta: deposito, stoccaggio, messa in funzione presso il sito finale.
E questa rivoluzione interna, magari – penso io – in parte figlia dei suoi freschi studi, viene percepita dai clienti?
Assolutamente! Oggi i percorsi universitari aprono a visioni aziendali prima impensabili. E poi il contesto dell’ateneo è una fucina di idee. Contestualmente al percorso formativo trovo fondamentale frequentare aziende partner, clienti ma anche fornitori dai quali si impara sempre molto. Grazie al mio team di lavoro la parte commerciale si sta evolvendo dal Sales Management al Project Management. In poco tempo i clienti hanno percepito e riconosciuto questa evoluzione e negli ultimi 3 anni la richiesta di impianti “chiavi in mano” è cresciuta in modo considerevole.
Un rischio d’impresa che si è ripagato quindi…
Ci siamo dovuti e voluti attrezzare, perché non è la parte commerciale che è cambiata ma proprio l’azienda stessa. Adesso siamo una squadra per certi versi nuova, non per forza nelle persone ma nelle procedure da creare e da controllare; affinché vengano portate a compimento. Tutti sentiamo la necessità di dare una mano all’altro; dobbiamo essere un vero team, perché, quando si cambia, serve ancora più coesione. “Il gioco è valso la candela” sia a livello di sostenibilità economica che a livello personale: non era scontato, è stata e ed è tutt’oggi una sfida entusiasmante.
Una scelta che funziona anche nei mercati esteri?
La concorrenza estera è sempre più agguerrita sui prezzi, ma anche preparata. Cina e Turchia ormai costruiscono buone macchine stand alone. Come dicevo, per fare la differenza noi dobbiamo andare sul processo e concentrarci sul prodotto finito o semi-finito; oltre a garantire un servizio post-vendita efficace. E poi c’è un tema di mercato interno contratto.
Il piano Transizione 5.0 non è mai decollato del tutto. Il rischio è che non si capisca bene come investire. Se sia meglio puntare sulla 4.0 di cui sono chiari i principi o sulla 5.0. Se chiudessi un ordine oggi e il mio cliente volesse farlo rientrare nel quadro della Industria 5.0, dovrei consegnare l’impianto entro fine anno: ma è fattibile? Se oggi in fiera facessimo un sondaggio tra le 400 imprese presenti emergerebbero innumerevoli perplessità su questa norma.
E questo ha impattato molto sulle vostre vendite in Italia?
Siamo passati da un 60% Italia e 40% estero negli anni d’oro della 4.0, a un 65% estero e 35% Italia di oggi. Spero che UCIMU riesca a bussare alla porta del Governo come fatto in passato. Anche perché la torta dei Paesi esteri a cui vendiamo cambia velocemente: i nostri mercati, oltre Francia e Germania, vi sono la Slovacchia, la Polonia, ancora la Romania, la Bulgaria. Un 10-15% del nostro fatturato è legato agli Stati Uniti, East Coast principalmente, ma staremo a vedere come andrà a finire con la politica dei dazi.
Poi c’è il Nord Africa, non a caso abbiamo qui anche la nostra agenzia locale che ha programmato diverse visite con possibili clienti. Anche lì ci sono ottime opportunità ma anche alti fattori di rischio.
Ancora una volta le imprese italiane mostrano grandi capacità di adattamento, riorientando l’offerta a seconda della domanda, è questo un grande valore o è sintomo di poca forza?
Io penso sia un grande valore ma non basta l’estero. Noi all’Italia abbiamo sempre creduto. Ad esempio, per questa LAMIERA 2025, fiera sostenibile certificata secondo lo standard ISO 20121, al nostro stand esponiamo una pressa oleodinamica da 80 tonnellate che è in grado di recuperare l’energia che normalmente viene dissipata dal cuscino durante le fasi di lavoro. Un sistema innovativo che permette di consumare tra il 18% e il 35% in meno rispetto alla stessa pressa munita di un impianto tradizionale.
Se le chiedessero cosa serve per fare l’imprenditore lei cosa risponderebbe? Qual è secondo lei la componente più importante che deve avere un industriale?
Difficile da dire. Serve leadership, carisma, intuito, studio. Tante cose. A prescindere da tutto, quello che non può mai mancare è la passione. La grande passione che ho visto in mio nonno si è tramandata in mio padre e oggi la sento forte dentro me. Passione che si è trasferita dalla proprietà ai dipendenti. Un bravo imprenditore deve avere passione e trasmetterla. Un po’ come un bravo allenatore che deve convincere e coinvolgere tutti i giocatori, altrimenti non si vince. E in questo senso “i Carboniero” sono stati agevolati dal territorio vicentino che è già appassionato di suo.
Intende dire che nello sviluppo dell’azienda ha contribuito il fatto di trovarsi all’interno di un territorio a forte vocazione manifatturiera?
Passione e entusiasmo sono il fil rouge che lega tutte le persone dell’azienda e che, a sua volta, lega l’azienda a un territorio, quello vicentino, permeato da un tessuto imprenditoriale solido, costituito da molte piccole e medie imprese che operano in diversi settori. Abbiamo un distretto industriale che è benzina per chi vuole fare impresa e questo di sicuro aiuta. Non è un caso se Schio, dove OMERA ha avuto la sua primissima sede, era nominata “La Manchester d’Italia”.
A proposito di settori industriali, chi compra le macchine utensili prodotte da OMERA?
Abbiamo un bacino clienti multi settore, a differenza di alcuni nostri competitor meri costruttori di presse che sono legati principalmente all’Automotive. Il nostro settore principale è quello del riscaldamento e della ventilazione, il settore HVAC per intenderci. Altri settori importanti sono quello dei casalinghi e degli utensili da cucina, la segnaletica stradale, così come il settore della lattoneria. Poi certo, anche il mondo dell’auto è importante: perché se è vero che con l’elettrico alcune lavorazioni meccaniche vengono meno, e altrettanto vero che sta nascendo una nuova componentista.
Ad esempio, recentemente abbiamo venduto una pressa idraulica – normalmente serve per processi di imbutitura della lamiera – che sarà utilizzata per tranciare materiale composto da resine poliuretaniche rinforzate con un filato di fibra di vetro utile a realizzare componenti per veicoli elettrici. Il mondo cambia, quindi il mercato, le produzioni si adattano. Anche questo è fare impresa. E non è per nulla banale.
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