Se un insegnante osa segnalare un comportamento non corretto, il 60% dei genitori risponde con un secco “non può essere stato mio figlio”: un dato diffuso sui social – non scientifico ma emblematico – che rivela una frattura educativa evidente.
C’è chi nega ogni colpa (“mai alzato una mano”, “è un angelo”), chi giustifica (“l’hanno provocato”) e solo il 2% ammette l’errore, pur difendendo i figli; un tempo, una nota sul diario si traduceva in una ramanzina a casa mentre oggi – spesso – in una lite con i docenti.
Come quella madre che difese il bambino accusato di aggressione: “Ha reagito perché gli lanciavano palline di carta”, una logica da tribunale in miniatura, dove i genitori si ergono a avvocati d’ufficio, pronti a screditare l’ambiente scolastico pur di preservare l’innocenza dei figli.
Il fenomeno non è solo questione di orgoglio ma affonda le sue radici in meccanismi psicologici come l’“effetto alone genitoriale” cioè l’idea che i propri figli siano intrinsecamente buoni, specchio di un’educazione impeccabile: un paradosso, considerando che molti bambini si comportano peggio tra le mura domestiche, dove le regole sfumano nella negoziazione continua.
La scuola – un tempo alleata delle famiglie – diventa così capro espiatorio di una società iperprotettiva, dove l’individualismo ha sostituito il senso di comunità e mentre i genitori costruiscono muri, i figli imparano a evitare responsabilità, crescendo con l’idea che ogni errore possa essere derubricato a “malinteso”.
Genitori e docenti: serve un patto (prima che sia troppo tardi)
Il risultato di questo scontro è quello di avere classi sempre più ingestibili, insegnanti demoralizzati e figli che faticano a distinguere tra diritto e dovere: alcuni genitori infatti dimenticano che la sfida educativa non consiste nell’innovare per moda, ma costruire ponti.
Il rischio è un circolo vizioso: più le famiglie negano, più la scuola si irrigidisce, e viceversa. Servirebbe quindi un ritorno al dialogo, come propongono gli esperti: corsi di sostegno alla genitorialità, progetti condivisi, un patto che superi la logica della contrapposizione.
Ma ai tempi delle recensioni online e “diritto alla felicità” a tutti i costi, persino l’educazione diventa terreno di battaglia, ma c’è anche chi prova a invertire la rotta: scuole che organizzano laboratori con i genitori, docenti che usano WhatsApp per aggiornamenti trasparenti, modelli ispirati a Paesi come la Finlandia, dove la collaborazione scuola-famiglia è alla base del sistema.
Senza un cambio di passo – però – il futuro sarà fatto di aule sempre più simili a campi minati, dove genitori e insegnanti combattono guerre parallele, mentre i figli osservano, imparando a navigare un mondo senza bussole.