Sullo scenario che abbiamo abbozzato si può ora trattare del ruolo e delle prospettive degli Usa in questo nuovo mondo. Partiamo col dire che molte sono le criticità e le preoccupazioni; a partire da un debito pubblico oramai pari a 31.500 miliardi di dollari più l’accordo congressuale di un ulteriore aumento di 1.500 miliardi per evitare il default di tanti settori del bilancio pubblico; in sequenza il passivo della Fed o altrimenti detto la base monetaria emessa è pari circa a 9.000 miliardi di dollari: tanto per dare un’idea solo agli inizi degli anni 2000 si viaggiava intorno ai 1.500 miliardi di base monetaria, ed è quindi doveroso sottolineare che tale aumento non è stato dovuto né a tutta l’inflazione cumulata fino al 2023 e nemmeno alla crescita; tale espansione di base monetaria è stata dovuta al salvataggio del sistema bancario e finanziario avutosi con le crisi finanziarie del 2008 e riattivato dalla comparsa del Covid-19; insomma, tutta questa liquidità poco ha a che fare con l’inflazione di questi ultimi due anni se non per marginali effetti ricchezza nel settore immobiliare e poco altro.
Tale ammontare monstre di liquidità tiene tonici e sovradimensionati i prezzi delle azioni delle società quotate a Wall Street, in tal modo scongiurando un nuovo 1929. Ma tale intervento di salvataggio monetario deve ora fare i conti anche con una posizione netta debitoria sull’estero pari a 16.600 miliardi di dollari circa (in sostanza gli Usa consumano e investono a debito).
La posizione netta debitoria sull’estero agli effetti pratici e sostanziali è finanziata dal debito pubblico della nazione, e pertanto quando alcuni report illustrano che solamente il 22% di Treausury bills sono detenuti dal resto del mondo, tale dato va riformulato in quanto tramite i bilanci degli istituti finanziari a stelle e strisce da una parte del bilancio ci sono titoli del Tesoro e dall’altra obbligazioni di debito esterne collegate ai movimenti di merci e servizi soprattutto; in sostanza, tramite i bilanci bancari si crea l’illusione che il 78% del debito pubblico della nazione Usa sia in casa propria, mentre a livello effettivo tale detenzione domestica si assesta tra il 45% e il 50%.
Per fare un esempio che illustra la questione, immaginate il seguente: la banca Usa xy ha bisogno di 100 milioni di dollari per pagare un’obbligazione di un’impresa straniera collegata a un’importazione; un meccanismo immediato per tale banca è vendere Treasury bills sul mercato oppure alla Fed per avere il contante necessario. Questi aspetti danno luce all’affermazione che il disavanzo pubblico e quello commerciale sono gemelli e nel tempo si cumulano in debito pubblico e posizione passiva con l’estero.
È a causa di importazioni negli anni assolutamente scompensate che gli Usa sono diventati un debitore gigantesco e potenzialmente pericoloso; cioè la sicurezza c’è fino a che manterranno un grado di influenza primario sul mondo, ma appena le dinamiche oramai in atto inizieranno a produrre effetti, i fenomeni finanziari negativi si manifesteranno con intensità; primi tra tutti, svalutazione del dollaro e innalzamento di tassi di interesse e inflazione.
Insomma, per abbattere tali dinamiche negative gli Usa devono tornare a essere esportatori netti per ripagare debiti esteri e in sequenza il debito pubblico, al contrario però la nazione sta vivendo stordita e al di sopra delle proprie possibilità; per avere ragione lungo tale percorso dovrebbe scomparire la minaccia esiziale, cioè la Russia; la Cina, invece, è un competitore per ora economico a molti livelli, ma che si tenta di bloccare nella crescita di potenza geostrategica.
(2- continua)
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