Consiglio non richiesto al Governo (di cui, penso si sia capito, non sono certo un acceso sostenitore): se esiste un momento in cui forzare la mano con l’Europa, intesa come Germania, è questo. E non solo perché attendere potrebbe risultare fatale, stante l’avvitamento che incombe dietro l’angolo per l’economia francese e che opererà giocoforza da catalizzatore. Bensì perché Angela Merkel, presidente di turno dell’Unione, non è mai stata così debole e con le spalle al muro. Mai. La dimostrazione? Paradossalmente, proprio la ridicola e suicida prova di forza che sta ponendo in essere contro la Russia sul caso Navalny. Il quale, come avrete letto, si è svegliato dal coma. Buona notizia, ne sono lieto.
Ci sono però altre notizie emerse dalla disputa Mosca-Berlino di questi giorni di cui i media non vi hanno dato conto, quasi in molti casi seguissero pedissequamente un playbook fornito dal Dipartimento di Stato. Signori, tagliamo la testa al toro, una volta per tutte: l’intera vicenda in atto è una replica dell’operazione arancione posta in atto in Ucraina e prende il via dalla Bielorussia. Dove, ad esempio, i media denunciano il rapimento di una delle leader dell’opposizione. La quale, invece, viene fermata al confine ucraino una ventina di ore dopo e poi arrestata, mentre cercava di espatriare.
Parte il film di Steven Spielberg travestito da informazione, allora. La nostra eroina sarebbe stata obbligata ad andare in Ucraina, mentre lei voleva talmente rimanere al fianco del suo popolo da aver strappato a tal fine il passaporto. Scusate, ma quale capo dell’opposizione a un regime spietato strappa il passaporto pur di restare e farsi ammazzare, se davvero ormai siamo ai materassi? E poi, come mai tutti vogliono andare in Ucraina? Solo perché è vicina? Ci sono anche quei due satelliti statunitensi travestiti da Stati sovrani della Lituania e della Polonia, per fuggire. Eppure, l’Ucraina appare particolarmente sensibile al tema. E guarda caso, se davvero si trattasse di una messa in scena delle autorità bielorusse, significherebbe che qualcuno ha fatto “tana” ai burattinai del caso.
Forse, inscenando quell’arresto proprio vicino al confine, Minsk ha voluto inviare il messaggio chiaro a Washington? Perché signori, spero non vi sia sfuggito come l’Ucraina rappresenti un campo minato per il candidato democratico, Joe Biden e un potenziale elemento game changer del voto presidenziale del 3 novembre, in caso da quel Paese saltassero fuori altre novità legate, ad esempio, al figlio dell’ex vicepresidente, il buon Hunter Biden e alla sua meteoritica ascesa come Ceo di strane aziende strategiche. Perché l’Ucraina, piaccia o meno, è stata il teatro di un clamoroso golpe eterodiretto dell’Occidente in chiave anti-russa: assolutamente legittimo, in punta di ragion di Stato e di sicurezza globale, se uno vuole riferirsi unicamente alla narrativa atlantica. Così come però è assolutamente legittimo che il Cremlino reagisca. Soprattutto, dopo che a Kiev starebbe potenzialmente per seguire Minsk, ultimo baluardo proprio prima delle casematte Nato lituana e polacca a ridosso dei confini che furono dell’Urss. E tanto per capirci e capire quale livello di provocazione sia in atto verso il Cremlino, questa mappa mostra la collocazione strategica della Georgia. Dove lunedì è iniziativa l’esercitazione Nato dal roboante nome di Noble Partner 2020, qualcosa come 3mila soldati alleati da Usa, Gran Bretagna, Francia e Polonia intenti a simulare una forza di reazione rapida contro un tentativo di invasione esterna della capitale, Tbilisi.
Queste le parole con cui il primo ministro georgiano, Giorgi Gakharia, ha salutato l’inizio della grande manovra: “Si tratta di una garanzia di pace per la nostra sicurezza, un’operazione che non va letta come atto ostile contro nessuno. Questa esercitazione rappresenta la componente più importante di una vasta gamma di sforzi e atti finalizzati al raggiungimento dell’integrazione euro-atlantica della Georgia”. Foste Vladimir Putin, come tradurreste concretamente queste parole? Ma non basta. Guardate questo grafico, il quale ci mostra come – a causa anche di un prezzo del petrolio che, oltre a non risollevarsi, minaccia di toccare nuovi minimi – il rublo stia andando pesantemente sotto pressione a livello di mercato dei cambi, intaccando di fatto i conti pubblici e lasciando preludere un attacco speculativo di stampo turco.
Ieri è giunta la risposta del Cremlino, quando a una domanda relativa proprio al continuo deprezzamento della valuta, il portavoce della presidenza si è limitato a sottolineare come “la Russia ha già dato vita alle proprie strategie di hedging contro i rischi di volatilità di mercato globale”. Leggi, oro fisico. A badilate. Insomma, un gran Risiko. Ma siccome la trama del giochino ucraino è nota a tutti, ecco che qualche genio ha voluto mettere il carico da novanta contro Mosca: il caso Navalny. Il quale, giova ricordarlo, simbolicamente è fortissimo in Occidente grazie alla propaganda dei media e dei social network, ma politicamente in Russia equivale al nulla. O poco più. Ed eccoci arrivati all’oggi. A quella che possiamo definire sindrome TAV, ancorché in chiave teutonica. Sotto schiaffo rispetto a eventuali “dispetti” Usa verso le aziende-simbolo (comparto automotive, Bayer e Deutsche Bank) e a presenze governative dichiaratamente sotto dettatura politica di Mike Pompeo, Angela Merkel ha dovuto far partire la sua campagna anti-russa, arrivando addirittura a lasciare che quella parte meno patriottica del suo Governo ventilasse lo stop al progetto energetico Nord Stream 2 come ritorsione al caso Navalny, in caso Mosca non desse vita a un’inchiesta aperta, trasparente e credibile.
La grancassa mediatica, ovviamente, ha cominciato a inzuppare il pane. Chiaramente, lavorando in tandem con il fronte bielorusso. Il quale, non so se avete notate, pare connotarsi sempre di più come la risposta post-sovietica alla Francia destabilizzata dei Gilet gialli: manifestazioni oceaniche anti-Lukashenko tutti i weekend, debitamente coperte da uno schieramento mediatico degno dello sbarco sulla Luna. Poi silenzio assoluto. A casa mia, se davvero l’opposizione è oceanica, tenta di bloccare il Paese. Ogni santo giorno finché il despota non cade. E, soprattutto, i suoi leader – forti di numeri e sostegno simili, almeno stando alle tv – non tentano la fuga all’estero, ma guidano la rivolta. Forse, siamo di fronte al primo caso di rivoluzione via smart-working. Potere del Covid.
C’è però un problema: la Germania l’ha fatta fuori dal vaso stavolta, utilizzando un francesismo. Primo, evocando possibili sanzioni europee contro Mosca, un qualcosa che ha dovuto prontamente rimangiarsi, visto che si è corsi a sottolineare come questo atto debba essere accettato e votato da tutto il consesso Ue e non deciso unilateralmente dalla Presidenza di turno. Come dire, appena hanno avanzato la proposta, sono piovute le telefonate. Secondo, guardate questa mappa, pubblicata l’altro giorno dal quotidiano tedesco Die Welt: ci mostra l’imponenza strategica del progetto Nord Stream 2, costato anni di battaglie diplomatiche e lavoro. E investimenti.
Sapete a quanto ammontano le penali minime che Berlino dovrebbe pagare, solo a livello contrattuale su base bilaterale e statale con Mosca, in caso di rinuncia? Più di 12 miliardi di euro. Più gli indennizzi per le ditte tedesche, russe e di altri Paesi impegnate nei lavori. Ora, al netto dell’altolà già posto dalla parte più raziocinante e meno eterodiretta del Governo tedesco a una mossa simile, vi pare che in pieno tentativo di ripresa da lockdown, la Germania possa giustificare agli occhi dei suoi cittadini una spesa e un ricasco politico-diplomatico simile, in nome di Aleksey Navalny?
Se sì, è perché qualcuno ha promesso di più. Molto di più. Ma quel qualcuno, chi è? Perché da qui a due mesi, a Washington potrebbe cambiare molto. Moltissimo. Pressoché tutto. E qualcuno, direttamente interessato nella corsa alla Casa Bianca ha anche tutto da guadagnare affinché certi segreti custoditi a latitudini post-sovietiche restino tali. Quantomeno, ancora per qualche settimana. Angela Merkel, di suo, avrebbe certamente evitato una mossa simile. Se lo ha fatto, è solo come ultimo atto di amore verso il Paese: occorreva schierarsi, scegliere quello che appariva il male minore. E lo ha fatto. Ma, forse proprio a causa delle poca o nulla convinzione, in maniera tale da tradire la debolezza di questo azzardo.
Non a caso, i media si sono ben guardati dal garantire alla mossa diplomatica russa la medesima eco di quella berlinese: convocazione dell’ambasciatore tedesco e, soprattutto, una dichiarazione del ministero degli Esteri che pare preannunciare la fine della pazienza di Mosca nella vicenda. «Ci aspettiamo che Berlino fornisca tutte le informazioni disponibili: sia i risultati dei test di laboratorio delle forze armate tedesche, sia alcune presunte prove che il ministero degli Esteri tedesco possiede. Aspettiamo l’ambasciatore tedesco al ministero degli Esteri. È il momento di mostrare le carte, perché è ovvio a tutti che Berlino sta bluffando ed è impegnata in qualche pastrocchio politico», ha dichiarato la portavoce del dicastero, Maria Zakharova. Il tutto, nel giorno in cui Lukashenko ammetteva che forse il suo tempo al potere era stato eccessivo e apriva a un possibile voto democratico anticipato, dopo alcune riforme costituzionali (leggi, immunità garantita): chi pensate che abbia riportato a più miti consigli l’uomo di Minsk, le tre veline intente alla fuga che la stampa occidentale ha già tramutato in epigone di Rosa Luxemburg o forse proprio Vladimir Putin, in punta di lavorìo diplomatico?
La Germania, probabilmente schiacciata da anni di politica estera basata sul principio del piede in troppe scarpe, è in un cul de sac con pochi precedenti, quantomeno dal crollo del Muro di Berlino in poi. Vogliamo proprio lasciare a Emmanuel Macron, non a caso silente sulla questione bielorussa e sull’affaire Navalny, la possibilità di mediare fra Ue e Mosca, stante il passo più lungo della gamba compiuto da Berlino o qualcuno a Roma capisce che è il momento di far valere i buoni rapporti ancora esistenti fra il nostro Paese e la Russia? Vogliamo anche noi sporcarci un po’ le mani nel fango della politica estera – quella vera, parallela e poco ortodossa – o continuiamo a prendere ordini dai margini della discussione, pur essendo geograficamente e geopoliticamente strategici?
Certo, finché i rapporti con la Cina o la Russia si baseranno sull’export di quattro cassette di arance o sull’ipotesi da TSO di farsi comprare il debito pubblico in rubli dal Cremlino, andremo poco lontano. Ma visto che Oltreoceano già danno per assodato uno sgradevole rapporto “particolare” fra Roma e Pechino, tanto vale giocare le carte che abbiamo in mano per ottenere qualcosa. Perché la Germania, oggi, è debole e fuorigioco. Se esiste un momento per vendersi come amico che può dare una mano (assestando contemporaneamente qualche colpo, come monito e vendetta per certe risatine passate), è questo.
Cinismo? Sì, all’ennesima potenza. Perché in politica si campa così, il resto è sottofondo.