In occasione della Giornata mondiale del Malato, che ricorre oggi, 11 febbraio, Papa Francesco ha scelto una parola d’ordine in linea con il Giubileo di quest’anno: “La Speranza non delude e rende forti nella tribolazione”. Ci invita ad essere pellegrini di Speranza davanti a due interrogativi che la malattia spesso pone e che non possono certo essere ignorati: “Come rimanere forti, quando siamo colpiti da malattie gravi, invalidanti, che in alcuni casi richiedono cure i cui costi sono al di là delle nostre possibilità? Come farlo quando, oltre alla nostra sofferenza, vediamo quella di chi ci vuole bene e, pur standoci vicino, si sente impotente ad aiutarci”?
Sullo scenario disegnato da queste due domande si colloca la solitudine del malato, la sua paura di essere abbandonato, in un momento in cui percepisce acutamente di non essere in grado di far da sé e sperimenta il timore della propria non autosufficienza. Sente di aver bisogno degli altri, come mai prima di allora e capisce che la sua forza, la sua stessa sopravvivenza, sono nelle mani chi si prende cura di lui. La forza che sperimenta nella malattia è quasi sempre una forza che scaturisce dalla solidarietà, da quella dei familiari, degli amici, dei professionisti che lo curano, in scienza e coscienza. Una forza capace di restituire coesione alla frantumazione dei legami affettivi, tipica del nostro tempo e su cui ha spesso fondato il suo individualismo, non di rado anche un po’ narcisistico.
La malattia, soprattutto la malattia grave, è come un prisma su cui si riflettono problemi che vanno al di là degli aspetti strettamente fisici e toccano aspetti economici e professionali, affettivi e sociali dando al dolore e alla sofferenza quella dimensione globale per cui è stato coniato il termine di global pain. Un dolore a tutto tondo che investe tutta la nostra personalità nella molteplicità dei suoi aspetti, facendoci percepire una fragilità da cui è impossibile emergere senza l’aiuto degli altri. La Giornata mondiale del Malato diventa allora giornata di cura reciproca, in tanti ambienti diversi, che vanno oltre il perimetro dell’ospedale. Nella recente Giornata mondiale contro il cancro lo slogan è stato: #UnitedByUnique, che tradotto in italiano potrebbe essere “uniti, ma unici”. Ovvero: ogni persona fa storia sé, è unica nella sua malattia e nel suo vissuto, ed è questo il grande desiderio di ogni malato, essere riconosciuto nella sua identità e nella sua singolarità, con le sue esigenze e le sue difficoltà. Ma la rete dei pazienti, la loro unione, l’alleanza con chi li cura può contribuire a creare un mondo nel quale si impari a guardare oltre la patologia e vedere ogni persona per ciò che è. “Uniti nei rispettivi bisogni, unici nelle loro storie”. È questa la speranza che non delude e rende più forti.
Dietro ogni malattia c’è una storia umana unica, di dolore, preoccupazione, paura, speranza, resilienza, amore e molto altro ancora. Ecco perché deve cambiare lo stile di cura, passando da quello strettamente “medico” a una presa in carico che tenga conto degli aspetti emozionali, psicologici e sociali del soggetto, consapevoli del fatto che in questo modo l’esito delle terapie può migliorare anche sotto l’aspetto economico, riducendo tutti gli sprechi per scarsa compliance. È necessario coinvolgere nel percorso assistenziale i familiari e fare riferimento alla realtà della famiglia, di cui troppo spesso si mette in evidenza la crisi, omettendo di ricordare quanti siano i momenti di crisi personale che è possibile superare grazie alla famiglia, anche quando è in crisi.
Serve un cambiamento culturale di grande rilevanza. Dalla malattia, da ogni malattia, è possibile trarre continuamente nuova energia grazie ai PRO, i cosiddetti patient-reported outcomes, ossia ciò che il malato riferisce del suo vissuto, sul piano clinico-assistenziale, socio-professionale, affettivo e familiare. Sapere di cosa davvero necessita quest’uomo malato, questa donna, nella sua situazione concreta, ascoltando la sua esperienza quotidiana; in un certo senso la centralità del paziente va modificata parlando di centralità della relazione medico-paziente, ma anche famiglia-paziente. L’ascolto e la raccolta del punto di vista dei malati sull’andamento di un trattamento non può rimanere una semplice affermazione retorica, ma deve diventare un metodo di cura. Nel tempo della malattia, infatti, se da una parte sperimentiamo tutta la nostra fragilità, dall’altra facciamo esperienza della vicinanza e della relazione con coloro che non ci abbandonano e spesso ci sorprendono col dono di un’amicizia che non avremmo pensato di avere.
Ma la Giornata del malato deve essere anche a livello istituzionale la possibilità di rilanciare un patto di fiducia con i cittadini, mostrando anche sul piano tecnico-organizzativo come superare questioni annose come le lunghe file di attesa per avere una visita specialistica o per fare un approfondimento diagnostico. Nella giornata del malato ci si attende che Governo e Regioni facciano un passo avanti per sciogliere quei nodi che rallentano tante decisioni a livello di Conferenza Stato-Regioni, rendendo incomprensibile per i cittadini capire perché il livello di conflittualità sia a volte così alto da richiedere l’intervento della Corte costituzionale.
È una giornata buona per sciogliere nodi, a volte pretestuosi, per semplificare procedure, per dire ai malati che possono rinnovare la loro Speranza nei confronti del SSN, che possono contare sul loro medico di base, sulla sua disponibilità, che possono perfino andare – se ne hanno davvero bisogno – ad un Pronto soccorso, senza temere di doverci passare la notte intera prima di essere rimandati a casa. Nella Giornata mondiale del Malato anche la Buona volontà istituzionale, a livello internazionale, può fare un passo in più e mostrarsi più efficace e consapevole della sua mission di cura, intervenendo in quegli scenari in cui la guerra, la povertà, la stessa ignoranza moltiplicano il numero delle vittime innocenti.
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