Ci sono dati interessanti, ma non positivi, nel Rapporto Cnel sull'attrattività dell'Italia per i giovani dei Paesi avanzati
Nel Rapporto sull’attrattivà dell’Italia per i giovani dei Paesi avanzati realizzato dal Cnel, e presentato la scorsa settimana, viene esposto con dati inequivocabili il bilancio negativo dell’Italia in quello che potremmo chiamare lo scambio dei giovani: sono molti di più quelli che se ne vanno rispetto a quelli che vengono da noi. Lo scambio è inuguale: nove italiani per uno straniero.
Tra il 2011 e il 2024 sono andati via 781mila italiani, di cui 441mila nella fascia di età 18-34 anni, e sono arrivati 55mila dagli stessi Paesi di destinazione.Nello stesso periodo, l’immigrazione netta di stranieri è stata di 3,5 milioni, di cui oltre la metà tra i 18 e i 34 anni. Ma si tratta di processi di qualità diversa che non possono compensarsi reciprocamente. E comunque da anni il Paese perde popolazione nonostante i flussi dell’immigrazione.
Diversamente dall’emigrazione a cavallo tra la fine del XIX e del XX secolo, una quota consistente della nuova migrazione va via dai territori dove maggiori sono le possibilità occupazionali e reddituali. Questo è un segno caratteristico dell’esodo dei giovani che emigrano: non sono spinti da una condizione di bisogno ma vanno alla ricerca di nuove esperienze e opportunità, tra cui la pratica in una lingua straniera.

A lasciare il Paese sono soprattutto giovani dotati di un alto livello di scolarizzazione, fino a quello universitario. Ne deriva la conseguenza che l’Italia già penalizzata per un numero inadeguato di laureati, si trova a subirne anche una riduzione per la c.d. fuga dei talenti. Ciò vale soprattutto per i giovani del Mezzogiorno e per le giovani donne.
Tra le indicazioni per rovesciare questa tendenza che intacca pesantemente il capitale sociale del Paese (si stima per 160 miliardi), il Cnel ricorda il miglioramento della cultura del lavoro come prioritaria responsabilità delle imprese.
Queste, infatti, potrebbe rifarsi alla best practices già presenti nel nostro Paese tramite un’organizzazione del lavoro meno gerarchica e in grado di valorizzare il merito e le competenze sia nella fase di selezione del persona che negli avanzamenti di carriera. Questo discorso ricorda anche la Pubblica amministrazione, chiamata a valorizzare le esperienze professionali che i giovani hanno svolto all’estero come anche in imprese private.
Per attrarre giovani talenti dall’estero, soprattutto da altri Paesi avanzati, un’altra mossa utile da parte delle imprese sarebbe quella di utilizzare la lingua inglese sul posto di lavoro, così da favorire l’ambientamento di chi non è nato in Italia.
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