Quando lo vide piegarsi per terra e iniziare a fare quello ch’era in procinto di fare, Simon Pietro cercò di starsene il più in disparte possibile, strofinandosi indeciso il mento. “Quest’uomo non è pazzo – disse a sé medesimo –: ciò che sta facendo, però, ha del pazzo. È il modo di comportarsi di un Messia questo?” Lo disse sottovoce, pubblicamente tacque: sentiva bene com’erano lontani quei giorni nei quali, quando diceva una parola lui, tutta Cafarnao gli dava retta.
Non s’era mai accorto, fino a quel giorno, che s’era leggermente addormentato sugli allori, godendosi la fama, girando la città col collo tronfio di un tacchino. Per l’Amico di Nazareth, aveva mollato il bagnasciuga di Tiberiade ch’era diventata per lui una sorta di oasi allegra: “Ha ragione quest’Uomo – rilanciò quella volta ai suoi soci di pesca –: il mondo è marcio, ha bisogno di una ripulita”.
Il successo, nel tempo, aveva dato un po’ alla testa a Simone: ciascun uomo, anche dopo una chiamata, rimarrà un piccolo impero di lussuria, di avarizia, di odio. Tutto, comunque, gli fu perdonato per quella velocità d’abbandonare il certo per l’incerto. Il tran-tran per la novità.
In quella posizione, però, l’Amico era inguardabile: proprio non gli riusciva di concepire che il suo Gesù fosse capace d’abbassarsi al livello delle piastrelle, che avesse l’animo di compiere tali cose: “Si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto”.
Quell’uomo, che per quel gesto perdette la verginità agli occhi degli amici, era d’una presenza scomoda. Sghignazzò, forse, Pietro: un congresso di miseria così tragico non l’aveva mai nemmeno immaginato. A Giuda, seduto poco più in là, sarà stato possibile cogliere l’eco di quella risata clamorosa che Pietro fece scoppiar in cuor suo: fossero state aperte le finestre, si sarebbe sentita un isolato oltre.
Quando fu vicino ai suoi piedi, Cristoddìo lo guardò col medesimo sguardo di quel giorno dalla riva del lago: uno sguardo che aveva il potere di chiederti che uomo sei, guardandoti diritto negli occhi. E quando già la mano del Cristo aveva preso la forma del suo piede, Simone fece il capriccio di far fare retromarcia al piede, mandandolo sotto la sedia: “(Signore), tu non mi laverai mai i piedi in eterno”. Cristo, indomito, se l’andò a prendere fin laggiù.
Il sudore gli imperlava la fronte. Pensava, il vecchio e stimato pescatore di Galilea, che per la sola ragione di conoscere una persona, quella persona non fosse più capace di un alcunché di straordinario. Non sfuggì all’evangelista lo scatto all’indietro di quel piede, fatto da quell’attaccabrighe di Simone che era sempre maledettamente sicuro di sé.
Certe parole, pronunciate sull’onda di una foga senza cicatrici, sanno di amarognolo quando bisogna rimangiarsele: “Non ti ho forse visto con lui nel giardino? (…) Pietro negò di nuovo, e subito un gallo cantò” (cfr Gv 18). La verità è un lusso che non tutti possono permettersi. L’Uomo col catino e la brocca in mano, con l’asciugamano sull’avambraccio è tutto eccetto che pazzo. È consenziente, capace di intendere ma, soprattutto, di volere: “Se non ti laverò, non avrai parte con me”. Pietro se lo tradusse nel suo linguaggio plebeo: “O fai questo o te ne vai dal cuore mio: nessuno si salva da solo”.
Quando s’alzò da terra – dopo quella che a Satàn apparve poco più che una spacconata –, la prima Chiesa si mostrò col volto tumefatto: una masnada di straccioni bagnati fino all’osso per l’acqua, il sudore, le lacrimucce. Si dimenticarono di ricambiare il gesto: “Siediti, Rabbì, che ora tocca a noi”. Pazienza: non si può chiedere ad un asino di diventare un cavallo nel giro d’un battito d’ali di una farfalla.
Non capirono nemmeno granché di quel lavaggio che li fece arrossire in volto: “Tu ora non lo capisci; lo capirai dopo” (cfr Gv 13,1-15). È consolante che si possa credere e non comprendere allo stesso tempo: non sarà questa la discriminante tra santi e dannati. L’unica discriminante resterà quella tra il lavarsi le mani e il lavare i piedi: c’è materia per un mal di testa e c’è materia per la festa.
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