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Home » Chiesa » Pasqua » GIUBILEO 2025/ Perché la Pasqua dell’anno Santo è “diversa” dalle altre

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GIUBILEO 2025/ Perché la Pasqua dell’anno Santo è “diversa” dalle altre

La risurrezione di Cristo è il fondamento della nostra speranza e ci invita ad un cammino fatto di un anticipo della felicità eterna

Alberto Cozzi
Pubblicato 20 Aprile 2025
Roma, la Basilica di San Pietro (Ansa)

Roma, la Basilica di San Pietro (Ansa)

Le celebrazioni del Giubileo sono un’occasione speciale per riscoprire dimensioni essenziali della nostra esperienza di fede, talvolta trascurate nel ritmo ordinario della vita. In modo particolare la Pasqua di risurrezione richiama il fondamento della nostra speranza, cioè la risurrezione di Cristo, e una caratteristica della vita risorta, ossia la grazia del perdono.


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La speranza e il suo fondamento. Nella Bolla di indizione, Spes non confundit, papa Francesco si pone esplicitamente la domanda: “Ma qual è il fondamento del nostro sperare? Per comprenderlo è bene soffermarci sulle ragioni della nostra speranza (cfr. 1Pt 3,15). ‘Credo la vita eterna’: così professa la nostra fede e la speranza cristiana trova in queste parole un cardine fondamentale. Essa, infatti, ‘è la virtù teologale per la quale desideriamo […] la vita eterna come nostra felicità’” (n. 18-20).


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La “vita eterna” in cui speriamo non è un’altra vita, dopo questa e al di là di essa. Non va pensata come una sorta di recupero dopo la morte, una specie di vuoto “al di là”, che prolunga questa esistenza. Basta guardare all’incontro col Risorto: quando Gesù appare vivo ai suoi discepoli non parla loro di un al di là più o meno vago, ma riprende i gesti di prima (lo spezzare il pane sulla via per Emmaus) e ricorda le parole dette in precedenza (gli insegnamenti sul Regno di Dio nell’istruzione agli apostoli in Atti 1,3), facendone intuire tutta la ricchezza e profondità, in cui si percepiva qualcosa di eterno.


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Ora i discepoli comprendono quelle parole e quei gesti a partire dal loro fondamento vero, come dice Gv 2,22, in occasione della purificazione del Tempio: “Quando risuscitò dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che egli aveva detto questo e credettero alle Scritture e alle parole che Gesù aveva pronunciato”; o come in Gv 12,16, dopo l’ingresso in Gerusalemme: “In un primo tempo i suoi discepoli non compresero questo fatto, ma quando Gesù fu glorificato, allora si ricordarono che questo era stato scritto di lui e che era proprio quello che gli avevano fatto”.

Tutto corrisponde al disegno del Padre, alla volontà di Colui che ci ha inviato suo Figlio. I discepoli, cioè, comprendono ora ciò che Gesù ha vissuto e ha compiuto ricevendolo dalla sua vera sorgente vitale, quella radice che sosteneva la vita di Gesù come pure la sua morte, ossia dalla comunione col Padre, quell’unità con Dio che rendeva la vita di Gesù più forte del male, del demonio e della morte.

Dunque la “vita eterna”, che sta al fondamento della nostra speranza, è l’origine di tutte le cose e di ciò che siamo, ovvero l’amore di Padre e Figlio, quell’amore che lo Spirito ci comunica e in cui ci coinvolge (Rm 5,5). Una vita nell’abbraccio della Trinità, un’esistenza che ha come orizzonte un dono infinito che ci precede e fonda, così che nulla di ciò che siamo e facciamo andrà perduto (nemmeno un capello: Mt 10,30).

Possiamo in questa prospettiva recuperare l’idea di speranza come virtù del presente, più che del futuro, ossia come virtù del cammino: “Una speranza affidabile, in virtù della quale noi possiamo affrontare il nostro presente: il presente, anche un presente faticoso, può essere vissuto ed accettato se conduce verso una meta e se di questa meta noi possiamo essere sicuri, se questa meta è così grande da giustificare la fatica del cammino” (Benedetto XVI, enciclica Spe salvi, n. 1).

Ne deriva l’impatto della vita eterna, quella del Risorto, sul nostro presente: “Per la fede, in modo iniziale, potremmo dire ‘in germe’ – quindi secondo la ‘sostanza’ – sono già presenti in noi le cose che si sperano: il tutto, la vita vera. […] La fede non è soltanto un personale protendersi verso le cose che devono venire ma sono ancora totalmente assenti; essa ci dà qualcosa.

Ci dà già ora qualcosa della realtà attesa, e questa realtà presente costituisce per noi una ‘prova’ delle cose che ancora non si vedono. Essa attira dentro il presente il futuro, così che quest’ultimo non è più il puro ‘non-ancora’. Il fatto che questo futuro esista, cambia il presente; il presente viene toccato dalla realtà futura, e così le cose future si riversano in quelle presenti e le presenti in quelle future” (Spe salvi, n. 7).

La Pasqua del Giubileo vuole essere il rinnovarsi dell’esperienza di questo riversarsi della vita vera e piena nel nostro presente, al punto che viene intensificato il valore dell’istante, mentre il futuro viene illuminato da questa irruzione della vita piena del Risorto, fino a dilatare i nostri orizzonti attuali di esperienza.

La vita nuova del Risorto e la grazia del perdono. Il secondo elemento della Pasqua dell’Anno santo, in cui recuperiamo una dimensione importante della vita cristiana, è la grazia del perdono.

Siamo di nuovo rimandati all’incontro col Risorto. Il minimo che si può dire di Gesù Risorto, quando torna a far visita ai suoi discepoli, è che Gesù non era arrabbiato né offeso. Tutti l’avevano tradito o abbandonato, in qualche modo. Eppure ora quello stesso Gesù, che vive una vita nuova e piena in Dio, ritorna dai suoi amici e testimonia loro che nella vita risorta non c’è spazio né tempo per il rancore o la delusione o la rivendicazione polemica.

Gesù torna con una positività di vita e una voglia di amicizia che è pronta e ripartire, a riprendere il cammino dalla Galilea (Mt 28,7), là dove tutto era cominciato (Mt 4,12.17). La vita risorta è tutta intrisa di misericordia, pazienza, voglia di rigenerazione. Implica una trasformazione positiva: “Egli è Principio, primogenito dei risuscitati… poiché piacque a tutta la pienezza di risiedere in lui e di riconciliarsi, per mezzo suo, tutti gli esseri della terra e del cielo, facendo la pace” (Col 1,18-20).

La Risurrezione è evento di perdono e dinamica di riconciliazione, che spinge al rinnovamento: non si può restare prigionieri del passato e dei suoi conflitti. C’è qualcosa di veramente grande da condividere e quindi occorre ripartire, alleggeriti dal peso del passato e aperti a ciò che Dio vuole donare di nuovo: “Ecco faccio nuove tutte le cose” (Ap 21,5), dice Colui che siede sul trono nel cielo.

Allora si diventa pellegrini, ma non come coloro che fuggono da qualcosa, bensì come persone mosse da una certezza grande che genera speranza e desiderio di trasformazione. Uno dei frutti più belli del Giubileo non può che essere l’assaggio della vita nuova che il Risorto ha anticipato per noi mediante i sacramenti del perdono e il passaggio attraverso la porta che introduce nella vita vera, cioè il Cristo vivente (Gv 10,1-10).

C’è una soglia da attraversare per poter fare esperienza di questo riversarsi della vita nuova che viene da Dio nel nostro presente e per aprire il presente al futuro che Dio ci ha preparato. Lo possiamo sperimentare in cammino.

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Tags: Giubileo 2025

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