Continua la pubblicazione di contributi scritti da politici e dedicati al Giubileo 2025 (ndr).
Papa Francesco, alla vigilia dell’anno giubilare, ha invitato tutti a diventare “pellegrini di speranza”. Pellegrinaggio significa mettersi in cammino, intraprendere un viaggio: un viaggio fisico verso i luoghi della fede, un viaggio spirituale, fatto di preghiera e cambiamento, ma anche un viaggio di conoscenza verso sé stessi e gli altri.
Il pellegrinaggio giubilare è un evento di fede che alimenta una tradizione religiosa plurisecolare e che ha contribuito a disegnare, con il passare del tempo, i tratti distintivi della nostra civiltà. L’Europa è sorta anche attorno ai cammini dei pellegrini. Penso al Cammino di Santiago o alla Via Francigena, percorsi calcati ancora oggi, zaino in spalla, da tantissimi fedeli.
E non è banale che al concetto di pellegrinaggio il Santo Padre abbia voluto affiancare quello della speranza. Speranza che, insieme alle altre virtù teologali fede e carità, richiama tutti a essere costruttori di un mondo migliore.
Un mondo che, soprattutto in questi ultimi anni, pare aver cambiato volto, facendoci piombare in un vortice di incertezza senza precedenti. A cominciare dalla pandemia, che è stata per ciascuno di noi, pur in maniera diversa, un periodo di dolore, solitudine, rinuncia. Successivamente la crisi economica, l’inflazione e il caro energia, fino ad arrivare alla grave situazione internazionale in atto, fatta di guerre, conflitti, tensioni, instabilità che riproducono ovunque povertà, angoscia e sofferenza.
Per tutte queste ragioni, il Giubileo 2025 assume, come ha evidenziato anche il Presidente Mattarella, un significato universale in un momento storico difficile. Un appuntamento dal quale far partire un messaggio di pace per tutti: mai arrendersi alla paura, ma fare spazio alla speranza.
E se è vero che siamo tutti pellegrini sulla terra che abitiamo, il pellegrinaggio dunque ci insegna la responsabilità collettiva di costruire un futuro diverso. Ci insegna a lasciare alle nuove generazioni un futuro migliore.
Voglio partire dall’Europa. Il riaffacciarsi prepotente della guerra nel cuore del continente europeo è un cambio di paradigma. Bisogna prenderne atto e comprendere che è tempo di ricostruire. Ricostruire una nuova Europa, in primo luogo, se vogliamo reggere alla “guerra ibrida” attuata dalle autocrazie contro le nostre democrazie. Un’Europa che – come auspicato da Papa Francesco – non sia un insieme di regole da osservare, un prontuario di protocolli e procedure da seguire, ma una “famiglia di popoli”. Che metta al centro la persona, la solidarietà, la cura dell’altro.
Per ricostruire, però, serve ripartire dalle fondamenta, da quelle radici giudaico-cristiane che sono la vera forza della nostra Europa. E per affrontare tutte le sfide che abbiamo dinanzi c’è bisogno di ancorarci ai nostri valori, ai nostri ideali e anche alla nostra fede.
L’impegno dei cattolici in politica non nasce di certo oggi. Don Sturzo, De Gasperi, fino ad arrivare a Moro. Ognuno di loro ha lasciato un’impronta. Ognuno di loro, parafrasando le parole del cardinale Matteo Zuppi, ha saputo “riscoprire la bellezza dell’essere cristiani e fare del Vangelo un qualcosa che entra nella vita delle persone, con impegno e amore politico”.
E con questa convinzione porto avanti ogni giorno la mia azione politica, in Parlamento e sul territorio. Credo nella forza del messaggio del popolarismo. Credo nella forza di valori cattolici e popolari mai passati di moda, oggi più che mai attuali.
Credo nella centralità della persona e della famiglia. Nell’importanza della formazione e della competenza, nella valorizzazione dei corpi intermedi e nel principio di sussidiarietà. Credo nel valore dell’ascolto per non lasciare indietro nessuno e da cui deve ripartire la politica per rinsaldare quel legame tra cittadini e istituzioni ormai allentato.
La sfida è saper coniugare questi valori con battaglie concrete, che toccano da vicino la vita, la quotidianità, delle persone.
Penso innanzitutto alla famiglia. Fare politica non significa puntare al consenso, ma avere una visione di futuro. E una visione di futuro la si ha solo pensando alle nuove generazioni, a quei figli che purtroppo non riusciamo più a mettere al mondo o a un welfare che sia davvero a misura di famiglia.
Perché la famiglia è un valore e credo che per mettere in campo politiche mirate serva partire da una consapevolezza, ovvero che ogni euro destinato alla famiglia non è un costo, ma un investimento per il Paese.
Nell’ultima legge di bilancio abbiamo lavorato proprio in questa direzione, indirizzando la fiscalità verso qualcosa di simile al quoziente familiare, che va dal bonus per i nuovi nati e dalla conferma dell’assegno unico per i figli all’aumento dei giorni di congedo parentale, all’aumento del tetto massimo delle detrazioni delle spese scolastiche e a nuove risorse per le scuole paritarie e gli studenti con disabilità.
Al contempo, credo fortemente nell’urgenza di instaurare un nuovo patto tra le generazioni, un dialogo tra giovani e meno giovani, che crei una sinergia capace di arricchire il Paese.
Recentemente, il Parlamento ha approvato, in maniera trasversale, su iniziativa dell’Intergruppo parlamentare per la Sussidiarietà presieduto da Maurizio Lupi e di cui faccio parte, la legge sulle soft skills, le competenze non cognitive e trasversali nei percorsi scolastici e di formazione professionale.
Le competenze non cognitive sono quell’insieme di abilità, atteggiamenti e conoscenze che vanno oltre le tradizionali materie scolastiche e che ci permettono di relazionarci con gli altri, di gestire le nostre emozioni, di risolvere problemi, di adattarci ai cambiamenti. Insomma, sono quelle competenze che ci rendono persone complete, in grado di affrontare le sfide della vita.
Tutto ciò va, a mio avviso, inserito in un quadro più ampio, che deve confermare la libertà di scelta educativa come valore fondamentale e costituzionale.
Penso anche agli oratori. In legge di bilancio abbiamo ottenuto l’istituzione di un fondo che mette a disposizione 1,5 milioni di euro in tre anni: un piccolo ma significativo passo avanti per dimostrare la vicinanza dello Stato a questi luoghi di aggregazione che spesso, in tante realtà, rappresentano l’unica alternativa alla strada, alla criminalità, alla dispersione scolastica e al disagio giovanile.
Il futuro dei giovani passa anche dal lavoro.
Credo nel valore della formazione e del merito e sono convinta che la politica oggi, nell’era dell’Intelligenza artificiale, abbia il dovere di mettere al centro il capitale umano. Abbia il dovere di dare ai ragazzi una formazione di qualità, adeguata alle sfide professionali che dovranno affrontare e di rispondere, al tempo stesso, all’esigenza delle imprese di avere personale qualificato.
In questi anni sono stati fatti dei passi in avanti, penso per esempio allo strumento dell’apprendistato o agli ITS Academy, vero luogo di incontro tra formazione e mondo del lavoro, ma c’è ancora tanto da fare.
Insomma, passare dalla politica dell’Io alla politica del Noi è un dovere. Tornare ad essere Comunità deve essere una priorità.
Operiamo ogni giorno per tradurre i nostri valori e le nostre idee in proposte concrete. Ricordandoci un po’ più spesso che la politica si fa tra le persone, non sui social network.
Come tutti i cammini, anche questo sarà sicuramente faticoso, ma come ci ha insegnato Giovanni Paolo II, “quando le gambe saranno stanche, bisogna camminare con il cuore”. Dunque, zaino in spalla e andare.
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