Rabbia dei genitori di Giulia Galiotto, uccisa a 30 anni dal marito, per la vicenda processuale che ha condannato l’assassino. Marco Manzini, questo il nome dell’uomo che nel 2009 attirò in una trappola la moglie Giulia e ne inscenò un falso suicidio, avrebbe dovuto ricevere una condanna per omicidio aggravato pari a ventotto anni, diminuiti in venticinque e infine in appena tredici. Era anche stato condannato risarcire la famiglia con un milione di euro, ora diventati un versamento di cinquanta euro al mese per tre anni.
“Hanno processato mia figlia, non il suo assassino – è la denuncia della madre di Giulia Galiotto, Giovanna Ferrari, affidata alle pagine de La Stampa – Ci sentiamo presi in giro dalla giustizia”. Nel corso del processo, infatti, a Manzini era stato concesso il rito abbreviato e gli era stato riconosciuto il “reato d’impeto” nel contesto di uno “scompenso emozionale”, mentre era stata respinta l’aggravante per premeditazione. Ma non solo: a causa della “buona condotta” dell’uomo, la sua pena terminerà nel 2025 e dall’inizio del 2022 Manzini si trova in semilibertà. “Vediamo riconosciuti i suoi diritti a essere riabilitato – prosegue la madre di Giulia – ma noi siamo messi al margine: nessuno ci avvertito di nulla”.
Omicidio di Giulia Galiotto, ora il marito è in semilibertà: “abbiamo paura”
Giovanna, la madre di Giulia Galiotto uccisa nel 2009 dal marito, spiega a La Stampa che l’assassino di sua figlia “ha un divieto di avvicinarsi a noi, ma può andare a trovare i suoi qui a due passi, dove ha ammazzato Giulia. Potremmo anche avere paura”. E poi la questione del risarcimento, ottenuto dalla famiglia in sede civile, pari a un milione e duecentomila euro. I genitori di Giulia hanno ottenuto 280mila euro dall’esproprio di una casa dell’assassino e altri 2.300 dal pignoramento della sua liquidazione. Per gli altri, la proposta di 50 euro al mese per tre anni, “prendere o lasciare”.
Giulia Galiotto è stata uccisa l’11 febbraio del 2009 in un delitto noto alla cronaca come “crimine di San Valentino”. Quel giorno, il marito Marco Manzini l’aveva attirata nel garage della loro abitazione con la promessa di un regalo. Una volta in garage, l’uomo l’aveva colpita con una pietra fino a ucciderla. Secondo la ricostruzione, Manzini l’aveva quindi caricata in auto, trasportata fino al fiume Secchia e infine gettata da un punto sopraelevato. A quel punto, aveva portato l’automobile a lavare, l’aveva parcheggiata là dove Giulia era stata gettata, ed erano tornato a casa dove aveva nascosto gli abiti ancora piani di sangue. Qui Manzini aveva inscenato il suicidio di Giulia Galiotto, in realtà un vero e proprio femminicidio, falsificando un biglietto e chiamando la madre di lei, fingendosi preoccupato per la sua assenza.