Giuseppe Giacumbi ricorda il padre Nicola, ucciso dalle Br, 45 anni fa: "Quella lapide è un dovere, il perdono non mi appartiene. Mai dimenticare"
Giuseppe Giacumbi – oggi ingegnere chimico – aveva cinque anni e mezzo quando il padre Nicola Giacumbi fu brutalmente ucciso con una raffica di mitra in un agguato, mentre rientrava a casa dopo una serata al cinema con la moglie.
“Meglio tardi che mai”, è il suo commento sobrio, dopo anni di cauto silenzio; una lapide per Nicola Giacumbi – procuratore capo reggente di Salerno ucciso dalle Brigate Rosse il 16 marzo 1980 – è stata istituita oggi, lunedì 14 aprile, in corso Garibaldi, davanti al tribunale. Un gesto atteso da anni e anni, promosso dall’avvocato Carlo Correra, amico del magistrato.
Giuseppe ricorda pochi attimi di quei giorni: la permanenza a casa della nonna, l’onomastico del 19 marzo, la risposta evasiva della madre sulla scomparsa del padre: “Mi disse che era andato a fare una passeggiata in cielo” racconta con tono amaro.
La verità arrivò a piccoli passi, tra silenzi e racconti frammentari: Nicola Giacumbi – descritto come uomo austero ma affettuoso – rimase per Giuseppe Giacumbi un’ombra sfocata, ricostruita grazie ai ricordi della madre, scomparsa nel 2011.
Giuseppe Giacumbi e il ricordo del padre: il peso di un nome e il rumore sordo del perdono
L’omicidio di Giacumbi – come molti del terrorismo italiano – fu un gesto di propaganda vero e proprio: gli assassini scelsero un bersaglio non sotto i riflettori, ma simbolico, per mettere in atto la macchina del terrore. Il figlio vuole rimarcare l’assurdità di tale violenza: “Erano sfessati, ma il risultato non cambia” e riguardo al perdono, Giuseppe Giacumbi lo esclude con pacata fermezza.
La lapide – installata nel centro di Salerno – rappresenta un risveglio della coscienza collettiva in una città che per anni ha rimosso le ferite degli Anni di Piombo, come successo per altre vittime del terrorismo – da Guido Rossa a Emilio Alessandrini – il monumento non è solo un tributo personale, ma un appello contro l’oblio.
Oggi, mentre Giuseppe Giacumbi sogna ancora dialoghi impossibili con un padre cristallizzato a 51 anni, quella pietra diventa un ponte tra le generazioni: un invito a ricordare che la giustizia, anche se tardiva, è un dovere civile.