In questi giorni si sta tenendo a Roma la manifestazione “Agricoltura è”, dedicata al mondo agricolo italiano, alla quale parteciperà anche il commissario Ue all’Agricoltura e all’Alimentazione, il lussemburghese Christophe Hansen. Un’occasione per ribadire la volontà del nuovo governo dell’Europa di rivedere i termini del Green Deal, tenendo conto, finalmente, non solo della sostenibilità ambientale della produzione agricola, ma anche della redditività delle imprese.
Le aziende plaudono a questo cambio di rotta di Bruxelles, spiega Cristina Tinelli, direttore area Relazioni UE e internazionali di Confagricoltura (associazione che partecipa all’evento romano), ma ora aspettano che gli annunci si traducano in misure concrete. Su agrofarmaci, concorrenza con i produttori extraeuropei, burocrazia, c’è bisogno di un’inversione di tendenza.
Il Green Deal ha cambiato il quadro di riferimento anche per le imprese agricole. Ora, però, la nuova Commissione UE sembra orientata, invece, a modificare l’approccio, tenendo conto non solo del rispetto dell’ambiente, ma anche delle esigenze delle imprese. Quali sono gli interventi concreti che il mondo agricolo chiede a Bruxelles?
Il commissario Hansen ha cambiato lo storytelling dell’agricoltura europea. Ovviamente non da solo, perché la Commissione UE e la presidente von der Leyen, al secondo mandato, hanno capito che la politica del Green Deal non poteva garantire la redditività delle aziende. Il cambio di rotta nasce dalla Bussola per la competitività, definita dalla stessa Commissione UE, che ribadisce la necessità della decarbonizzazione, tenendo conto, però, che le imprese devono mantenersi competitive. Una visione che vale anche per il comparto agricolo, completamente diversa rispetto alla strategia di Farm to Fork e che risponde alle aspettative degli agricoltori.
Cosa è cambiato?
Prima di tutto, appunto, vengono messi al centro il reddito e la competitività delle aziende agricole. Ma si parla anche, finalmente, di sicurezza e sovranità alimentare, di reciprocità negli scambi internazionali, di utilizzo degli agrofarmaci e del loro divieto soltanto laddove fossero dannosi. Insomma, le premesse di un cambiamento ci sono; bisogna vedere quali saranno le modalità di attuazione di questo nuovo indirizzo. Una prima proposta di semplificazione dell’attuale politica agricola comune, promessa dal commissario, è attesa per aprile, una seconda per dicembre.
Perché Confagricoltura si oppone alla proposta di un fondo unico nazionale per il finanziamento delle misure che attualmente rientrano nella Politica agricola comune (PAC), nei fondi di coesione e in altri fondi diretti europei? Cosa cambierebbe per gli agricoltori e perché ne uscirebbero penalizzati?
Introdurre un fondo unico significa rinazionalizzare la politica agricola. Le regole potrebbero variare a seconda del tipo di implementazione deciso dal singolo Stato. Potrebbero esserci delle distorsioni dovute a modalità attuative che divergono da Paese a Paese. Inoltre, potrebbero esserci Paesi, non dico il nostro, in cui gli agricoltori finirebbero per portare il peso di oneri burocratici superiori, subendo scelte penalizzanti per le loro imprese. Insomma, potrebbe verificarsi una distorsione della concorrenza. Se la gestione dei fondi rimanesse a livello europeo, invece, avremmo un sistema sostanzialmente uguale per tutti.
L’accordo Mercosur potenzialmente apre delle opportunità sui mercati dell’America Meridionale, ma nasconde delle insidie. Cosa rischiano le imprese italiane e in quali settori in particolare? La UE sta negoziando accordi simili anche con Thailandia e India: corriamo gli stessi pericoli?
I settori che potrebbero beneficiare dell’accordo UE-Mercosur sono sicuramente il vino e i prodotti lattiero-caseari. Viceversa, potrebbero essere danneggiate le produzioni di riso, pollame, ortofrutta. Il problema di questi accordi sta nella reciprocità: se i produttori europei devono rispettare determinati standard, questi ultimi devono valere anche per i prodotti importati. Ci sono dei fitofarmaci, invece, che sono autorizzati in Sudamerica e non in Europa.
Una questione di concorrenza sleale su cui non possiamo soprassedere. C’è poi un effetto cumulativo che potrebbe prodursi tenendo conto anche di altri accordi dello stesso tipo, che può verificarsi, ad esempio, per prodotti come il pollame che proviene dalla Thailandia e dall’Ucraina e il riso importato dall’India. Un effetto che comporterebbe un abbassamento dei prezzi dei prodotti UE per far fronte alla concorrenza e una perdita di risorse e di guadagni per gli agricoltori.
Confagricoltura ha espresso preoccupazione riguardo alla decisione del Consiglio europeo di introdurre dazi su prodotti agricoli e fertilizzanti provenienti da Russia e Bielorussia, che rappresentano una quota importante di quelli utilizzati in Italia. Quanto incide questo mercato sui costi delle aziende e come va riequilibrato per tenerli sotto controllo?
Su questo provvedimento chiediamo cautela. In seguito alla guerra russo-ucraina abbiamo dovuto affrontare grossi problemi relativi ai costi dei fertilizzanti e non possiamo pensare di pagare di più per un prodotto che potremmo avere a prezzi inferiori. Per questo invitiamo la Commissione a prendere misure per controbilanciare un’eventuale introduzione dei dazi, ad esempio con un fondo di compensazione che usi i soldi dei dazi stessi per sostenere gli agricoltori.
La UE ha ridotto notevolmente l’uso dei fitofarmaci, rischiando di mettere in difficoltà le aziende: anche su questo chiedete di rivedere le politiche della precedente Commissione? Bruxelles starebbe per rivedere anche le norme sulle tecniche genomiche. Qual è la posizione di Confagricoltura su questo tema?
Parlando delle nuove tecniche di ibridazione genetica, Confagricoltura è sempre stata a favore della scienza: la nostra prima richiesta è di approvare le nuove proposte relative alle TEA. Chiediamo di continuare a utilizzare gli agrofarmaci consentiti, spingendo il più possibile per avere approvazioni veloci dei nuovi prodotti.
Ci sono procedure troppo lunghe?
Per approvare una nuova molecola ci vogliono all’incirca 7-8 anni; negli Stati Uniti occorrono 12 mesi. Con tempi così lunghi l’industria chimica non intende più investire.
Riguardo all’uso degli agrofarmaci, c’è anche un altro tema da considerare. Frutta e verdura che arrivano da un altro continente non sempre sono prodotte nel rispetto delle regole UE. Come si risolve il problema?
Ci sono regole internazionali che permettono di usare certi agrofarmaci, rispetto ai quali la UE ha introdotto regole più restrittive. Qui nasce il problema. Chiediamo che i prodotti acquistati all’estero debbano rispondere agli stessi requisiti di quelli europei.
Ha colpito molto l’annuncio di dazi USA del 200% sui vini. Quanto può danneggiare la nostra agricoltura la politica di Trump?
Il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti, ha guidato una delegazione del COPA, l’associazione europea degli agricoltori, che è stata a Washington ed è tornata con grosse preoccupazioni: che siano del 200% o inferiori, i dazi ci saranno. Gli USA hanno una bilancia commerciale squilibrata nei confronti dell’Europa in questo settore. Ma in altri comparti, come quello tecnologico, succede il contrario. Contiamo in un accordo equilibrato che tenga conto complessivamente dell’interscambio economico. Nessuno, negli Stati Uniti, comunque, si è espresso in modo categorico: non ci sono ancora certezze sui prodotti che verranno colpiti.
(Paolo Rossetti)
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