Il 60% degli americani è contrario alla guerra con l’Iran, il 56% preferisce i negoziati, solo il 16% è favorevole a un conflitto militare
Nel mezzo delle tensioni tra Israele e Iran, un nuovo sondaggio effettuato da Economist/YouGov tra il 13 e il 16 giugno su un campione di 1.512 cittadini americani rivela un’opinione pubblica decisamente contraria all’idea di un intervento militare da parte degli Stati Uniti.
Secondo i dati, ben il 60% degli statunitensi è contrario all’ingresso in guerra contro l’Iran, mentre solo il 16% si dice favorevole a un’azione militare diretta e il restante 24% non esprime una posizione definita, una tendenza omogenea anche sul piano politico: il 65% dei democratici, il 61% degli indipendenti e il 53% dei repubblicani si oppone all’intervento armato, un prova di una convergenza piuttosto rara in un contesto politico solitamente polarizzato.
Alla domanda su come affrontare la questione del programma nucleare iraniano, la risposta prevalente è orientata verso la diplomazia, con il 56% degli americani che vorrebbe che Washington aprisse dei negoziati con Teheran – una posizione sostenuta dal 58% degli elettori democratici e dal 61% dei repubblicani, mentre solo il 18% del totale si dichiara contrario e il 25% resta incerto – un contesto che mostra una preferenza netta per il dialogo rispetto a soluzioni di forza, nonostante il 61% dei cittadini ritenga il programma nucleare iraniano una minaccia seria o molto seria per la sicurezza degli Stati Uniti ma la maggioranza, anche di fronte a questo timore, non ritiene giustificato l’uso delle armi.
Il sentimento prevalente è quello di un’America più cauta, che pesa con attenzione costi e conseguenze di un possibile conflitto e che si mostra meno incline a considerare l’opzione militare come risposta automatica alle crisi internazionali e a confermarlo ci sono anche i dati sulle strategie preferite, dove nessuna supera la soglia del 30%: il 28% degli intervistati propone sanzioni economiche più dure, il 26% preferisce incentivare la ripresa delle relazioni diplomatiche, mentre il 24% ritiene utile allentare le sanzioni in cambio di garanzie concrete da parte dell’Iran.
Solo il 15% sostiene l’uso della forza e tra i repubblicani la percentuale sale al 29% ma resta comunque marginale, indice di una strategia più frammentata e meno bellicosa anche nei settori dell’elettorato che in passato erano più favorevoli a interventi diretti.
Americani favorevoli alla diplomazia ma preoccupati per l’Iran: il 50% lo considera un nemico, il 28% chiede sanzioni più dure
Se da un lato i sondaggi confermano una forte opposizione degli americani all’intervento militare, dall’altro emerge una percezione chiara dell’Iran come avversario: il 50% lo considera infatti un nemico diretto degli Stati Uniti, il 25% lo definisce “ostile” e solo il 5% lo percepisce come alleato o amichevole.
Una posizione che convive però con un orientamento pragmatico verso forme di pressione non belliche, con la minaccia di sanzioni che resta l’opzione preferita dal 28% degli intervistati, seguita da incentivi diplomatici (26%) e da un parziale allentamento delle sanzioni in cambio di impegni verificabili sul programma nucleare (24%), ma nessuna di queste soluzioni supera comunque la soglia del 30%, segno di una certa frammentazione nelle opinioni.
Intanto, sul fronte politico, cala anche l’approvazione per il presidente Trump – secondo il sondaggio solo il 41% degli americani approva il suo operato, contro un 54% che lo disapprova, con un saldo negativo di -13 che peggiora tra i giovani sotto i 30 anni dove la disapprovazione sale al 66% – mentre l’approvazione della sua gestione sull’Iran è pari a -4 e quella sul dossier Israele è di -7; numeri che indicano uno scetticismo in aumento anche verso la linea dell’amministrazione su temi di politica estera.
Lo scenario che emerge è quello di un’America che, pur mantenendo alta l’attenzione sulle minacce esterne, mostra oggi un atteggiamento più riflessivo e meno interventista rispetto al passato e la scelta di evitare una nuova guerra sembra dettata non solo da considerazioni morali ma anche da una consapevolezza pratica sui costi umani, economici e geopolitici che ogni conflitto inevitabilmente porta con sé; in questo contesto, la diplomazia torna a essere la strada preferita da una maggioranza trasversale dell’elettorato.