Beppe Grillo porterà M5s in tribunale rivendicando la proprietà del nome e del simbolo. Si riapre la guerra con Conte
E Beppe Grillo non molla. Deriso, ingannato, sconfessato, passato da Elevato a inutile orpello. Un vecchio arnese barbuto e sdrucito come le copertine dei sedili di un taxi degli anni Ottanta.
La corsa, i suoi ex amici, l’hanno pagata qualche spicciolo in consulenze e basta. “Ora stai al mare”, gli dicono, sulle rive del Mar Ligure. “E non ti azzardare a farti rivedere”. Da Vaffaday a vaffabeppe è stato un attimo, poco meno di un decennio.
E lui, sconsolato nel suo bunker di chiacchiere, non ci sta a subire la damnatio memoriae che i suoi ex amici vorrebbero per lui. Sognava di tornare come Napoleone dall’Elba e fare i cento giorni gloriosi cacciando l’usurpatore Giuseppi. È finito tramortito a leggere le carte bollate dei suoi avvocati come un erede trattato male che vuole rivalersi in tribunale, urlando che è lui l’unico erede della stagione dei “grillini”, riprendersi il simbolo e tornare in possesso della sua memoria.
Per far che? Non si capisce. I suoi temi tradizionali non li governa più. La transizione ecologica, la decrescita felice, uno vale uno sono cose che manco ci si ricorda. Sanno di stantio come un pezzo di formaggio da due settimane in frigo.
Alleati, amici e consiglieri sono spariti. Elettori e simpatizzanti non lo leggono più. La sua comunicazione innovativa con il blog è anni luce indietro rispetto a un medio tiktoker e nel mondo le guerre scoppiano come palloncini a una sagra.
A che servirebbe lui ora in politica? A dire che l’Europa non serve? A predicare la settimana di 30 ore lavorative? A che gli serve riprendersi il simbolo, ora che le sue battaglie come il reddito di cittadinanza se le è intestate Conte e manco ci si ricorda di lui e della sua utopia di una società senza lavoro?
Se vince o perde la battaglia legale, resterà politicamente un passato remoto di questo futuro che viviamo oggi. Era impensabile la notte di Piazza San Giovanni (Roma, 22 febbraio 2013, ndr), quando assieme ai suoi avvertiva i fremiti di milioni di incantati connazionali che pendevano dalle sue labbra.
Ci sarà da divertirsi in tribunale per gli amanti della materia. “A chi il simbolo?” “A noi!” griderà Conte, invocando la sua “democratica” manovra di presa del potere. “A me!” risponderà Grillo, forte di atti e contratti che ne riconoscono la singolare posizione di garante e proprietario.
La disfida sarà ampia e lunga e forse avrà i primi esiti prima delle prossime elezioni, e ci sarà un vincitore di fatto. Ma la politica è fatta di altro. E senza il singolare intelletto di Casaleggio nulla è come prima.
Beppe ha perso malizia, metodo e contenuti. I 5 Stelle di Conte sono una cosa gialla tra il Pd e la Lega, senza una visione e un vero ethos narrativo. La loro anima è sepolta con le spoglie di Gianroberto, e loro non sono che attori senza copione e storytelling.
Certo, fanno comodo le loro beghe a chi vuole assorbirne i voti. La lotta fratricida allontana consensi e idee, mette ansia a chi vorrebbe una rivoluzione calma e coordinata e si ritrova in un pollaio tra galletti canuti che si beccano per le poche gallinelle specchiate rimaste.
E mentre questo accade, la politica avanza, le scelte si fanno sempre più essenziali. Tra Putin e l’Ucraina, tra palestinesi e israeliani, tra Trump e Harvard. Oggi sono tutti bivi su cui entrambi sono confusi e solitari. Smarriti.
E se fossero umili, andrebbero in pellegrinaggio sulla tomba di Casaleggio a riflettere. Gli servirebbe. Ma finiranno in tribunale. Come una coppia in crisi qualunque.
Che la sentenza gli sia lieve. Tanto, a chiunque vada, non servirà a nessuno dei due a far politica. Quella vera.
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