Trump e Xi riaprono il dialogo USA-Cina, tra tensioni su commercio, terre rare e Taiwan. Che ha un ruolo centrale nella strategia di Xi
La recentissima conversazione telefonica tra Trump e Xi ha rappresentato un nuovo capitolo dell’erratica guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina. Il colloquio, durato circa novanta minuti, ha aperto a scenari di distensione in questa fase caratterizzata da incertezza e inasprimento reciproco di dazi. Un segnale che sembrerebbe confermato dall’annuncio di venerdì del presidente Trump su Truth Social, secondo cui delegati diplomatici dei due Paesi si incontreranno a Londra già questa settimana.
Tuttavia, le aspettative circa un accordo commerciale bilaterale sembrano ancora poco realistiche. Benché i due leader, per questioni domestiche, avvertano la necessità di pubblicizzare la probabilità di un accordo, restano sul tavolo tutte le criticità delle relazioni politico-commerciali sino-americane. In particolare, è Trump ad enfatizzare la possibilità del raggiungimento di un’intesa, conducendo Xi – che ha definito un “osso duro” – su una posizione più conciliante.
Un atteggiamento ottimistico che si spiega con il fatto che, nel gennaio 2020, fu proprio il presidente americano a raggiungere l’accordo detto Phase One, con il quale la Cina assunse l’impegno formale di aumentare di 200 miliardi di dollari le importazioni dagli Stati Uniti. Allora come adesso, l’amministrazione americana avvertiva l’urgenza di equilibrare la bilancia commerciale con la Cina, un’impresa che, se allora appariva problematica, oggi risulta decisamente ardua.
Purtroppo per Trump, il ritorno al mondo prima della pandemia è una possibilità impraticabile e, alle questioni strutturali come i sussidi alle imprese strategiche cinesi e alle modalità poco limpide del trasferimento tecnologico – a cui il Phase One aveva fornito solo una risposta formale – si sono aggiunte ora le restrizioni all’export in un contesto di accresciuta instabilità geo-economica e competizione tecnologica.
A riguardo, il tema delle terre rare esemplifica chiaramente tutti i limiti della strategia di Trump, che si caratterizza per una diplomazia “transazionale” orientata esclusivamente al business e all’accordo commerciale. In alcune recenti dichiarazioni, il presidente americano ha enfatizzato l’importanza delle terre rare e ha palesato l’intenzione di convincere i cinesi a riaprirne i flussi verso i mercati americani.
Dal canto loro, i cinesi, che di fatto detengono il controllo quasi completo della filiera globale delle terre rare, non sembrano intenzionati a rimuovere le restrizioni all’esportazione, un atteggiamento confermato dal fatto che Xi, nel suo comunicato ufficiale, non ha fatto alcun accenno. Indipendentemente dalle intenzioni di Trump, la Cina non vuole rinunciare a quella che, al momento, è la sua maggiore leva negoziale.
A differenza di Trump, quello che muove la diplomazia cinese è una visione d’insieme della transizione egemonica in atto e ha ben chiaro quali sono gli obiettivi di medio e lungo periodo. Non sembra un caso che il comunicato ufficiale cinese, pubblicato dopo la conversazione telefonica intercorsa fra i due leader, abbia riguardato esclusivamente l’opportunità di trovare generiche forme di collaborazione e la questione di Taiwan, come a ricordare qual è la reale posta in gioco della partita sino-americana.
La ripresa del dialogo è il frutto della convergenza di interessi circa la necessità di ridurre il livello di instabilità del sistema delle relazioni internazionali e tranquillizzare le rispettive opinioni pubbliche, ma la strategia americana risulta appiattita sulla congiuntura e risponde a semplici logiche mercantili. Viceversa, la Cina punta ad aumentare il prestigio e la legittimità della propria leadership, contribuendo alla stabilizzazione dell’ordine economico globale, tenendo sullo sfondo l’obiettivo strategico della riunificazione con Taiwan.
La ripresa del dialogo ci dirà se questa sarà la linea di condotta cinese, ma, al momento, è facile prevedere che da parte cinese ogni inciampo dell’amministrazione Trump sarà visto come segno di debolezza e opportunità per rafforzare la propria posizione su Taiwan. Ogniqualvolta il presidente statunitense perderà credibilità, non riuscirà a definire un accordo concreto o opererà una delle sue inversioni di rotta imprevedibili, la Cina sarà pronta a trarne vantaggio.
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