La tregua “commerciale” tra Cina e Stati Uniti dovrebbe accompagnarci per un po’ di tempo. Probabilmente nessuno dei due contendenti si poteva permettere i risvolti più cruenti in una fase economica e politica che rimane decisamente complicata. Oppure il confronto è semplicemente rimandato a “tempi migliori” o semplicemente più opportuni. Lo squilibrio commerciale tra Cina e Stati Uniti, sommato al crescente debito pubblico americano, porteranno inevitabilmente le due potenze a nuovi scontri, considerate anche le ambizioni geopolitiche in competizione. Accantonato il contenzioso con la Cina, l’America di Trump sposterà la propria attenzione sulle altre “partite commerciali”; quella con Messico e Canada si è chiusa e tutto fa pensare che con la Gran Bretagna fuori dall’Ue le trattative saranno semplici. Rimane ovviamente l’Unione europea.
I dati delle due principali economia esportatrici, Germania in primis e poi in Italia, continuano a essere pessimi. La Francia è messa meglio perché è riuscita a proteggere il suo sistema dall’austerity tedesca, però il sistema cova “tensioni” abbastanza evidenti. Se gli Stati Uniti aprissero una negoziazione commerciale “dura” con l’Unione europea, magari sommata a una posizione negoziale ferma del neo primo ministro inglese, la situazione potrebbe diventare interessante.
L’Europa potrebbe difendersi molto meglio e soddisfare le proprie ambizioni politiche se avesse un’economia più equilibrata, meno spostata sulle esportazioni, se fosse un sistema più coeso e non ci fossero differenze economiche così marcate tra Paesi membri. Potrebbe forse avviare un impulso vero in tempi brevi e di dimensioni molto rilevanti “all’economia reale”; non parliamo di nuove politiche monetarie espansive, ma di investimenti in infrastrutture, tagli fiscali, ecc. Vorrebbe dire dimenticare l’austerity e anche deficit e debiti per un ciclo economico e vorrebbe anche dire far accettare alla Germania una contribuzione proporzionale o più che proporzionale al progetto. L’Europa non è sulla mappa dei maggiori investimenti infrastrutturali e anche in termini di leadership tecnologica è dietro a Cina e Stati Uniti. Questo sforzo però dovrebbe avvenire in tempi ristrettissimi perché tutto lascia pensare che l’attenzione “anglo-americana” si sposterà verso l’Unione europea.
La situazione italiana, dopo due crisi in meno di cinque anni (2008/2009 e 2011/2012), è un elemento di fragilità soprattutto con un Governo che palesemente non è in grado di affrontare i problemi perché dilaniato dagli scontri interni. È un Governo benedetto dall’Europa via spread e Btp, ma che finora non ha fatto la sua parte o l’ha fatta solo con una finanziaria che si è accanita contro imprese, commercianti e famiglie. Non solo troppo poco per la crescita, ma il nulla per contrastare il rallentamento economico. Nessuna idea, nessuna sollievo su burocrazia e simili solo tasse brutte e subito.
Chiunque volesse colpire l’Europa partirebbe proprio dall’Italia. L’Europa può reagire mettendoci una camicia di forza fatta di Mes e simili perpetuando però la stessa strategia miope del 2011. La domanda che ci facciamo è se questo Governo “pro Europa”, ma debolissimo sul piano interno e delle idee, sia veramente quello che serve all’Unione.