Guerra senza quartiere per le miniere in Congo. L’M23, sostenuto dal Rwanda, ha ormai preso Goma e vorrebbe allargarsi anche ad altri territori congolesi proprio per mettere le mani sulle risorse naturali dell’area, che alimentano un fiorente contrabbando.
Un piano tragicamente segnato dagli stupri e dalle uccisioni di decine di donne, con la violenza sessuale che diventa una sorta di arma per piegare le popolazioni locali.
Dietro gli interessi del Rwanda, però, osserva Marco Di Liddo, direttore del CeSI (Centro Studi Internazionali), ci sono quelli della Cina e degli Emirati Arabi Uniti, che hanno rapporti d’affari con i ruandesi per le materie prime rare e l’oro.
L’occupazione di questa parte orientale del Congo può terminare in due modi: militarmente, contrastando l’M23, o politicamente, cercando di raggiungere un accordo tra Rwanda e Congo. Il pericolo è che il conflitto si estenda. Secondo l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Volker Türk potrebbe coinvolgere anche altri Paesi.
I miliziani dell’M23 hanno occupato Goma. Si fermeranno qui o hanno in mente qualcos’altro? C’è il pericolo concreto di un allargamento del conflitto?
Il loro obiettivo è espandersi il più possibile nelle due province del Nord e del Sud Kivu, le due principali del Congo orientale, assieme all’Ituri. Sono importanti per due ragioni.
La prima è che sono zone particolarmente ricche dal punto di vista agricolo e minerario, perché lì si trovano le miniere di coltan, di tungsteno, di cobalto, ma anche di oro, cioè tutto ciò che serve per l’industria tecnologica e non solo.
Il secondo motivo è che siamo in una zona dove, per un esercito convenzionale, è molto difficile combattere: c’è la giungla e l’M23, qualora la situazione degenerasse, sa dove ritirarsi.
Quanto conta l’appoggio del Rwanda all’M23?
Tradizionalmente, l’M23, che è una milizia tutsi, è appoggiata dalle truppe ruandesi, quindi dall’esercito del Paese governato da Paul Kagame, che fornisce un supporto importante.
L’esercito ruandese è molto ben organizzato, il migliore della regione, e quindi ricevere un supporto logistico di uomini, addestrativo e di intelligence garantisce un significativo vantaggio rispetto allo sgangherato esercito congolese.
L’obiettivo principale dell’operazione sono le miniere. È il Rwanda che vuole metterci le mani?
Sì, esattamente. Il confine tra Rwanda e Congo è molto poroso e la maggior parte delle miniere sono semi-artigianali.
Il controllo sui siti minerari è complicato e il livello di contrabbando di materie prime è alto. Quando la capacità del Congo di controllare questa ricchezza aumenta, il Rwanda lancia queste offensive tramite l’M23 per riequilibrare la situazione.
Dietro il Rwanda ci sono potenze straniere?
Ha legami trasversali a livello internazionale, parla con tutti i Paesi che possono aiutarlo a contrabbandare le ricchezze minerarie all’estero.
C’è un rapporto privilegiato con la Cina per quanto riguarda il traffico di materie prime critiche, quindi per la tecnologia, e con gli Emirati Arabi Uniti per oro e diamanti. Gli Emirati sono tra i principali riciclatori di oro e di diamanti insanguinati, quelli che provengono da teatri di conflitto o da Paesi sanzionati.
Il Rwanda, tra l’altro, sta cercando di sviluppare un’industria tecnologica locale in Africa, in particolare per produrre telefonini.
Li costruiscono i ruandesi con l’aiuto dei cinesi, ma impiegando soprattutto ingegneri e tecnici locali. C’è un’industria fiorente, non è la Silicon Valley, ma si danno da fare. Il Paese non è da sottovalutare neanche sotto il profilo militare: è in grado di inviare truppe all’estero nelle missioni di pace. Lo ha fatto in Somalia e in Mozambico.
Le cronache della guerra parlano purtroppo di 150 donne stuprate e bruciate vive. Come si spiega questo livello di violenza?
In questi Paesi la violenza sessuale e lo stupro non sono semplici episodi di violenza estemporanea. Sono una pratica che fa parte della condotta bellica. Vengono utilizzati proprio come arma di guerra per terrorizzare la popolazione.
Le donne sono la spina dorsale della società, inoltre garantiscono la prosecuzione del lignaggio: nel momento in cui un uomo le violenta, le stupra, rompe la sacralità, esprimendo un dominio.
Che scenario dobbiamo immaginare ora? L’M23 rimarrà a Goma o ci sono possibilità che venga respinto? O addirittura il teatro delle operazioni si estenderà ancora?
Ci sono due modi per fermare l’M23. Uno è, come è successo in passato, modificare le regole d’ingaggio delle missioni dell’Unione Africana attive in quella regione, dotandole di una componente elicotteristica. Con la superiorità aerea, il controllo del cielo, si possono distruggere le basi e gli avamposti logistici. L’altra soluzione, più politica, prevede un accordo tra Congo e Rwanda.
Formalmente l’M23 è intervenuto perché dice che in Congo i diritti dei tutsi sono violati. Bisogna agire anche su questo?
È una giustificazione che abbiamo sentito tante volte: l’hanno detto i russi per l’Ucraina, lo dissero i nazisti per i Sudeti.
È una chiacchiera. In realtà si vogliono tutelare gli interessi ruandesi sulle miniere. Il Congo è un Paese enorme, ma da sempre è diviso e non ha un potere centrale forte. Nonostante la sua grandezza e la sua ricchezza, è stato sempre influenzato dall’estero: Paesi un po’ più strutturati hanno sempre cercato di imporre il loro candidato alla guida del Congo per manipolarlo.
Ci sono state due guerre, che vengono chiamate le guerre mondiali africane, condotte perché i Paesi vicini volevano proiettare la loro influenza su Kinshasa. Il Rwanda, più di tutti, cerca di sfruttare queste dinamiche.
(Paolo Rossetti)
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