GUERRA IN UCRAINA/ Quell’Europa pronta a tutto pur di non aprire uno spiraglio

- Marco Zacchera

Il Consiglio Europeo ha dato segnali poco promettenti: riarmo europeo, zero negoziato e sfida a Putin, in preda a una ricerca dell'escalation

europa borrell tusk vonderleyen 1 nsa1280 640x300 Josep Borrell (s.), alto commissario UE, con Donald Tusk, primo ministro della Polonia. Dietro, Ursula von der Leyen (Ansa)

Mentre il Consiglio Europeo a Bruxelles promuove il riarmo e la discussione è concentrata su dove trovare i fondi, 26 mesi dopo l’invasione russa e con il fronte praticamente bloccato, credo che l’Europa dovrebbe anche riflettere a fondo su come uscire dignitosamente dal conflitto salvaguardando l’Ucraina ma anche i propri interessi.

Se il 90% degli italiani si dichiara contro un intervento militare NATO e oltre il 50% addirittura contrario a continuare ad inviare armi, in una democrazia sarebbe giusto tener conto anche di questa opinione, cosa che invece non interessa i vertici di Bruxelles che non vogliono neppure mettere in discussione gli evidenti fallimenti europei sul piano economico, strategico e militare del conflitto con la Russia.

Le sanzioni, per esempio, si sono dimostrate un boomerang, e – nonostante fiumi di chiacchiere e di nere previsioni (per lui) – non hanno indebolito Putin, visto che in Russia il Pil nell’ultimo trimestre del 2023 è aumentato del 5,3%, la disoccupazione è al minimo storico del 2,9% e perfino l’inflazione è ora su medie europee, sotto l’8%.

In due anni la Russia ha continuato a vendere gas a tutti salvo che all’Europa (che ne aveva, ne ha e ne avrebbe grande bisogno), trova armi ovunque, ha moltiplicato i suoi rapporti con il mondo mentre noi siamo stati pesantemente danneggiati con crisi energetica, inflazione, debito pubblico e crisi economica. Se una manovra fallisce va cambiata, magari verificando perché abbia danneggiato più le aziende e l’economia europea che non il “nemico”. Invece nessuna autocritica, anzi, si insiste su questa strada.

Dal punto di vista militare l’Ucraina è diventata intanto un affare stratosferico, ha rilanciato una NATO in crisi e ha moltiplicato le forniture belliche, senza che ad oggi si sia risolto nulla. È chiaro che le aziende delle armi sono felici che il conflitto continui, così come i vertici NATO che hanno ritrovato una ragione di esistere e resistere, ma è lecito o no cominciare a chiedersi a chi convenga continuare la guerra?

Anche sul piano elettorale – posto come dato di fatto e verità indiscutibile che il voto russo sia stato pesantemente condizionato e non libero – è però evidente che Putin avrebbe vinto in ogni caso e questo andrebbe ammesso, non negato. Se poi si decide una doverosa chiusura totale a Mosca, perché non si mantiene lo stesso metro di giudizio con decine di Stati dittatoriali, sostanzialmente senza libertà politica e pluralismo, dalla Cina all’Arabia Saudita, da tanti Stati africani al Venezuela?

In questa situazione perché l’Europa non cerca seriamente di avviare neppure una politica di negoziato, almeno per arrivare a un cessate il fuoco senza porre precondizioni che lo vedrebbero in partenza respinto?

Fosse stata negoziato un anno fa, con Putin più debole, sarebbe stato molto meglio; temo che tra qualche mese Putin sarà ancora più forte. Nessuno vuole abbandonare l’Ucraina, ma è ora di valutare tutte le ipotesi di uscita dal conflitto, anche perché nulla prova che Putin voglia davvero attaccare l’Europa (non gli conviene) mentre piuttosto mi sembra si faccia di tutto per provocare reazioni russe anziché tentare contatti, colloqui, iniziative almeno di distensione per giungere a un possibile armistizio.

“Non si parla con l’aggressore”, “Prima Putin deve ritirarsi” sono il mantra quotidiano di chi semplicemente non vuole discutere, ma – visto lo stallo generale – o si ragiona con buona volontà, oppure davvero arriveremo ad una pericolosissima escalation dove temo che a vincere non sarà l’Europa.

Una pace deve prevedere la salvaguardia dei confini ucraini e la sua sicurezza, ma in cambio è anche ora di “chiedere i conti” circa la sua trasparenza e la sua stessa democrazia, anche perché Zelensky dovrebbe aver già indetto le elezioni presidenziali (è in scadenza) e invece non ne parla nessuno, né si sa cosa sia successo a tanti suoi oppositori interni.

Se si accenna a questi temi si è tacitati subito come “pro-Putin”, comodo modo per imporre il silenzio, ma succedeva lo stesso anche con Giovanni Paolo II quando affrontava questi temi (per Iraq, Serbia, bombardamenti NATO ecc.). Se ogni parola di Papa Francesco viene snaturata e strumentalizzata, se nessuno si pone per un attimo in posizione di ascolto, se non si pensa ai danni collaterali di una guerra e non c’è un minimo di volontà di aprire un dialogo, come vengono applicati i principi europei e l’art. 11 della nostra stessa Costituzione?

L’Europa faccia un sereno esame di coscienza: tutti abbiamo condiviso e condividiamo i valori e i diritti ucraini davanti all’aggressione e all’occupazione russa, ma ora è venuto il tempo di valutare se serva solo una politica tutta armi e muscoli.

Non solo Orbán dissente in Europa, altri Stati sono nel dubbio, come centinaia di milioni di cittadini europei che sono passati dall’entusiasmo allo scetticismo; ma a Bruxelles sembra che nessuno se ne renda conto e se ne chieda il perché.

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