Da ieri campeggiano su tutti i giornali le notizie in merito all’operazione “Sindoor” (Vermiglio) così come l’ha chiamata il premier indiano Narendra Modi. Il richiamo è a un colore simbolo del matrimonio indiano, pare legato alle vedove degli attacchi del 22 aprile. I media indiani pongono l’accento sulla lotta al terrorismo sostenendo compattamente l’azione del governo. I giornali pakistani, invece, sottolineano la codardia di attacchi notturni e festeggiano l’abbattimento di caccia indiani.
Venendo ai fatti bisogna dire che la crisi indo-pakistana, dopo due settimane di scaramucce e minacce, si sta trasformando in una guerra aperta. Il tutto partendo dall’attacco terroristico di Pahalgam, nel Kashmir indiano, che ha causato la morte di 22 civili, fino all’attacco indiano di ieri notte, che ha colpito nove siti legati al terrorismo fondamentalista pakistano. La difesa indiana mostra i muscoli, enfatizza le sue capacità operative. Con un po’ di retorica, si afferma che negli attacchi sarebbero stati coinvolti sia l’esercito che la marina e l’aeronautica, che avrebbero colpito nove siti legati a Lashkar-e-Taiba (LeT) e Jaish-e-Mohammed (JeM), i due più importanti gruppi terroristici pakistani. Tutte azioni condotte in località site tanto nel Kashmir pakistano che nel Punjab pakistano.
Subito dopo l’operazione da New Delhi, per evitare l’escalation, hanno precisato che si è trattato di un attacco limitato e circoscritto ad obiettivi terroristici, che non mirava a obiettivi della Difesa pakistana, mentre il fondatore e leader di JeM, Masood Azhar, ha affermato che dieci membri della sua famiglia e altri quattro congiunti sono stati uccisi nell’attacco aereo che ha colpito la sua residenza a Bahawalpur, nel Punjab.
Non è stato possibile avere notizie approfondite sugli attacchi, ma pare che siano stati lanciati missili aria-terra da aerei che si trovavano nello spazio aereo indiano, mentre le forze di terra avrebbero preso di mira gli obiettivi prescelti con lanci di missili balistici e da crociera. Meno chiaro il ruolo della marina, anche se recentemente ha testato missili lanciabili dalle navi con una gittata di 900 km, utili per colpire i territori interessati dai bombardamenti.
Il Pakistan ha risposto immediatamente al pesante attacco, che ha interessato sia il Kashmir che il Punjab e ha causato, secondo fonti di Islamabad, la morte di 40 civili. I pakistani hanno cannoneggiato per tutta la notte le postazioni di confine indiane e fonti non confermate riferiscono anche di lanci di missili contro basi nel territorio indiano. Anche se le fonti indiane sorvolano sulla questione.
È invece un dato certo che l’Aeronautica indiana abbia perso quattro caccia, due Rafale e un Mirage-2000 di costruzione francese, oltre che un Su-30 MKI di costruzione russa, tre nel Kashmir indiano e uno nel Punjab indiano. A prescindere dai risultati ottenuti, insomma, l’India ha pagato a caro prezzo l’Operazione “Sindoor”.
Sulle responsabilità dell’abbattimento degli aerei, però, gli esperti sollevano dei dubbi. Infatti, le forze armate pakistane hanno sicuramente le capacità tecniche di abbattere velivoli militari attraverso i vari sistemi d’arma di fabbricazione cinese in dotazione o anche con missili aria-aria lanciati dai caccia pakistani, sempre di fabbricazione cinese. Ma altrettanto plausibile è che gli aerei indiani siano precipitati per guasti tecnici dovuti alla scarsa cura e manutenzione.
A livello internazionale il primo a esporsi sulla crisi indo-pakistana è stato Donald Trump che l’ha definita “vergognosa”, sostenendo che dovrebbe cessare “immediatamente”. L’escalation atomica tra India e Pakistan è più vicina. USA e Cina, che stanno dietro le quinte di questo dramma, vogliono evitare la catastrofe, oppure la stanno evocando alla ricerca di nuovi equilibri verso un nuovo status globale?
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