AMAS AMMETTE (SOLO ORA): “33 OSTAGGI SARANNO LIBERI, MA SOLO 25 VIVI”. MA ACCETTA DI TRATTARE CON TRUMP PER FUTURO DI GAZA
Nei giorni frenetici in cui veniva ritardata la firma finale all’accordo di tregua fra Israele e Hamas per la guerra nella Striscia di Gaza, uno dei punti più delicati era stata la conferma della sigla palestinese di poter riconsegnare in vita i 33 ostaggi civili ancora in mano alle milizie islamiste dal 7 ottobre 2023. Addirittura per alcune ore si è temuto che l’accordo saltasse per l’ennesima volta in questo anno e mezzo di guerra in Medio Oriente: fu poi la spinta forte delle due amministrazioni Usa (Biden uscente e Trump entrante) a garantire il via libera finale, con la promessa di Hamas che tutti e 33 le persone in mano loro erano vive e in buone condizioni.
Ecco, non era vero: oggi lo si è scoperto quando Hamas ha consegnato la lista definitiva dei 33 ostaggi che libererà – in cambio di dei quasi 1500 detenuti palestinesi nelle carceri israeliane – come da accordi in questa prima fase di tregua: 25 di questi 33 sono vivi, anche se non tutti in piena forma fisica con denutrizione e problematiche psichiche per l’anno e 3 mesi di cattività in condizioni assurde nei cunicoli della Striscia di Gaza. Il problema è che gli altri 8 sono dichiarati morti, mentre fino a due settimane fa la stessa Hamas garantiva sulla loro incolumità: una notizia terribile per le famiglie che da mesi attendono una “luce verde” sulla situazione dei propri figli e familiari presi in ostaggio il 7 ottobre del 2023. L’appello lanciato in giornata dai tanti parenti degli ostaggi è diretto dunque al Presidente USA Trump, affinché possa realmente riportare a casa in Israele tutti come da accordi, che siano vivi o morti a questo punto: «La maggior parte di noi familiari ripone le proprie speranze nel Presidente Trump perché il nostro governo non fa più nulla, non sa prendere decisioni», racconta il padre di Omri Miran, uno degli ostaggi che al momento non rientra nel numero dei 33 pattuiti per la liberazione nella prima fase della tregua.
A complicare il tutto il fatto che Hamas ha inviato una lista dei 33 ostaggi, indicando 25 vivi e 8 morti ma senza collegarli direttamente ai nomi, perciò ad oggi resta ancora complicato avere la piena certezza di quali scenari dovranno aspettarsi le famiglie che oggi si sono rivolte in maniera accorata al Presidente americano. Rimanendo in tema di Casa Bianca, stamane il Premier Netanyahu ha fatto sapere che entro la prossima settimana è previsto un viaggio istituzionale a Washington dal Presidente appena insediato: con Donald Trump sarà il primo colloquio post-Inauguration Day, dove si discuterà della tregua in atto e soprattutto si cercherà di impostare il piano verso la terza fase dell’accordo con Hamas, quella più complessa che riguarda il futuro destino della Striscia di Gaza.
LA TREGUA A GAZA REGGE (MENTRE LIBANO E CISGIORDANIA SONO ANCORA NEL CAOS): IL RITORNO DI 200MILA SFOLLATI VERSO IL NORD DI GAZA
In merito poi al caos in corso tra Libano e Cisgiordania, il colloquio Netanyahu-Trump sarà l’occasione per capire quali siano le reali intenzioni dello Stato di Israele in un momento molto delicato per il difficile equilibrio interno al Medio Oriente. Ancora stamattina un raid israeliano ha colpito civili nel sud del Libano, proprio mentre veniva esteso il cessate il fuoco tra Netanyahu ed Hezbollah: la complicatissima situazione in cui versa la trattativa per le fasi prossime della tregua oggi ha visto però una svolta importante, giunta sempre dai canali ufficiali della sigla palestinese filo-Iran.
Moussa Abu Marzouk, uno dei più alti funzionari in carica ad oggi in Hamas, ha spiegato in una intervista all’emittente “al Arabiya” che la fazione palestinese è pronta a mettere in discussione il mantenimento del Governo nella Striscia di Gaza: aprendo alle richieste di Israele e Stati Uniti, Hamas di fatto per la prima volta ammette la possibilità che possa non avere più il controllo su Gaza una volta terminata la sanguinosa guerra successiva agli attacchi del 7 ottobre 2023. È ancora l’esponente di Hamas a sottolineare come il futuro della Striscia avrà bisogno di un sostegno sia locale-regionale, ma anche internazionale, con la possibilità che sia l’ANP di Abu Mazen ad occuparsi di parte del governo a Gaza. La notizia è che però Hamas inizia a mettere in discussione la propria leadership di potere, ammettendo un controllo anche esterno basta che non sia direttamente in mano ad Israele: «siamo disposti a negoziare il governo della Striscia con gli Stati Uniti», conclude Marzouk, anche perché «riteniamo Donald Trump un Presidente serio» che ha contribuito, con il suo inviato in Medio Oriente Steve Witkoff, ad ottenere la tregua nella Striscia. Nelle ultime ore sono circa 200mila i rifugiati che stanno facendo ritorno nel nord di Gaza dopo mesi di fuga dalla guerra nei campi profughi dell’area a sud: anche questo è un segnale importante di come vi sia la sensazione generale che qualcosa davvero possa rimanere permanente negli accordi, per ora ancora fragili, tra Israele e Hamas.