Il referendum di Facebook. Dallo scorso primo giugno fino all’8 dello stesso mese i circa novecento milioni di utenti del social network più popolare della Rete sono chiamati a dare il loro voto. Un referendum in realtà passato abbastanza in sordina in Italia, ma che pone un quesito interessante. Facebook chiede infatti di esprimere la propria opinione sulla gestione dei dati personali e la tutela della privacy all’interno del sito. Un tema scottante, che ha investito Facebook quasi immediatamente dopo la sua nascita. Un tema che tocca bene o male tutto Internet, da sempre vittima di un abuso della privacy non indifferente. Come ha detto qualcuno, spedire una e-mail equivale a spedire una cartolina che chiunque possa leggere. Su Facebook e nei social network poi si sconfina spesso e volentieri con l’abuso dei dati personali che vengono utilizzati a scopo di marketing, per essere usati, spesso comprati, dalle grandi aziende per sapere i gusti delle persone. Fece scalpore qualche tempo fa, poi, il caso di un utente di Facebook che chiedendo l’archivio del proprio utilizzo di Facebook, venne a scoprire che il social network conserva ogni singolo messaggio, post e fotografia fatti dagli utenti, questo anche se noi li cancelliamo. Ovviamente un archivio di dati privati impressionanti, tanto che quell’utente finì per citare Facebook in giudizio. Adesso si ricorre al referendum: per essere convalidato, sarà necessario che voti almeno il 30% degli iscritti a Facebook, cioè qualcosa come 270 milioni di persone. Si tratta di decidere se mantenere la regolamentazione attuale o quella proposta in base a quanto stabilito dalla dichiarazione dei diritti e delle responsabilità (Ddr) e dalla normativa sull’utilizzo dei dati. Se non si raggiungerà il 30% dei votanti, il referendum avrà puro scopo consultivo. Secondo il professor Andrea Stazi, docente di Diritto comparato nell’Università Europea di Roma, contattato da IlSussidiario.net, questo referendum è un caso interessante. Viene infatti dato un nuovo segnale che pur essendo Internet fortemente sensibile al mercato, deve tenere conto di regole giuridiche precise. “Dal punto di vista giuridico, ma anche da quello socio-economico, è un’iniziativa molto interessante perché uniforma di fatto, in senso più partecipativo, il sistema di informazione agli utenti/consumatori (più di quanto avvenga in base al “Safe harbour” Usa-Ue del 2000)” dice Stazi. Aggiungendo che “è comunque un altro segnale, dopo l’opzione sulla donazione degli organi, di come il percorso social-global-personal tracciato dagli strumenti di democrazia partecipativa della Rete, pur correndo in fondo sul binario del mercato, debba sempre – per fortuna – tener conto delle regole giuridiche e dei diritti fondamentali che ne sono alla base”.
Ecco allora che, aggiunge Stazi, siamo davanti al “primo esempio globale di customer care “dal volto umano”. Un caso, aha scritto sul Corriere della Sera Beppe Severgnini, che forse è stato forzato anche dalle recenti disavventure in borsa di Facebook.