Il vicepresidente dello Stato della Palestina Hussein al-Sheikh ha lanciato una proposta inedita nel contesto del conflitto mediorientale, dichiarando la disponibilità palestinese a firmare immediatamente un’intesa con Israele e ad accettare la formula di uno Stato unico nel quale tutti i cittadini abbiano uguali diritti, con Gerusalemme come capitale; Al-Sheikh che per diciotto anni è rimasto nell’ombra come “Abu Jahed” e che dal 26 aprile è diventato il “predestinato” come primo vicepresidente nella storia di Ramallah, ha spiegato che se gli israeliani respingono la formula dei due popoli in due Stati, i palestinesi sono pronti ad accettare e siglare un accordo per uno Stato unico.
Il 64enne figlio di profughi, nominato su proposta del 90enne leader Abu Mazen e dal Comitato esecutivo dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina, ha chiarito che, nella sua prima intervista da erede designato del presidente Mahmoud Abbas, non intende parlare di lasciti ma di soluzioni concrete; nemico dichiarato di Hamas, Hussein al-Sheikh ha definito il 7 ottobre come un attacco anche contro l’autorità nazionale palestinese, rivendicando il diritto e il dovere di criticare le politiche di Israele pur non avendo niente contro gli ebrei.
Da anni, Hussein al-Sheikh guida l’ufficio incaricato di negoziare con Tel Aviv ogni singolo permesso per consentire ai palestinesi di entrare in Israele per lavoro e cure mediche, dopo quasi undici anni di carcere duro per la partecipazione alla resistenza armata durante i quali ha imparato l’ebraico, ha respinto le accuse di cooperazione con gli occupanti sostenendo che non esiste altra scelta se non quella di dialogare con Israele per aiutare i palestinesi che hanno bisogno.
Hussein al-Sheikh: la prospettiva di riconciliazione palestinese
Hussein al-Sheikh si è dichiarato sorpreso per la reazione europea contro le operazioni militari israeliane, ribadendo in particolare i toni fin troppo severi utilizzati da Regno Unito e Francia nei confronti di Netanyahu, mentre ha manifestato delusione per la posizione dell’Italia che non si è unita ai Paesi che hanno chiesto di fermare le operazioni militari a Gaza e fare entrare immediatamente gli aiuti umanitari; il vicepresidente palestinese ha condannato dratsicamente gli spari delle forze israeliane contro gli inviati diplomatici arabi e internazionali in visita nel governatorato di Jenin, invitando la comunità internazionale a porre fine alle irruzioni nei territori palestinesi e a riconoscere lo Stato della Palestina.
Riguardo al 7 ottobre, al-Sheikh ha risposto alla domanda se il bagno di sangue voluto da Hamas potesse restare impunito chiedendo a sua volta se quella data possa giustificare quello che ha definito un genocidio, ribadendo che la reazione non è proporzionata e che l’urgenza è fermare la guerra attraverso sforzi internazionali concertati per affrontare la crisi umanitaria; sul fronte delle relazioni con l’amministrazione americana, ha invitato alla cautela osservando che Trump sembra impegnato su questioni di politica interna e sui dossier ucraino e iraniano, mentre ha espresso gratitudine per le parole di Papa Leone XIV su Gaza e l’impegno della Chiesa, annunciando la volontà di incontrarlo presto.
Hussein Al-Sheikh individua nel rilancio delle iniziative per unificare il popolo palestinese il compito principale, sostenendo che non bisogna lasciarsi dividere e che si apre una stagione nella quale bisogna costruire unità, poiché la politica israeliana ha come obiettivo anche quello di creare fratture tra i palestinesi; anche se ammette di non avere speranza di costruire qualcosa con l’attuale leadership israeliana, ha ribadito che non esistono alternative alla prospettiva di un accordo, ricordando come Arafat e Rabin ci erano riusciti ma come entrambi siano stati uccisi.