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Home » Esteri » Usa » I 100 GIORNI DI TRUMP/ “Diagnosi giusta ma cura sbagliata su dazi, Pa ed Hegseth, ora deve cambiare”

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I 100 GIORNI DI TRUMP/ “Diagnosi giusta ma cura sbagliata su dazi, Pa ed Hegseth, ora deve cambiare”

Il metodo-Trump non sta avendo il successo sperato sugli Usa. L'approccio è sbagliato e il gradimento del presidente (41%) lo conferma

Int. Marcello Foa
Pubblicato 29 Aprile 2025
Trump

Donald Trump (c) durante un meeting del suo Gabinetto. A sin. Marco Rubio, a d. Pete Hegseth (Ansa)

La diagnosi dei mali che attanagliano l’America non è sbagliata, a partire dall’enorme debito pubblico per arrivare fino allo squilibrio nella bilancia dei pagamenti. Il problema è che finora il “dottor Trump” non sembra avere azzeccato la cura. I dazi, i tagli drastici all’amministrazione, la superficialità nella gestione di alcuni settori fanno pensare che il presidente americano dovrà rettificare la sua strategia. E già si parla di un nuovo programma per i secondi 100 giorni del suo mandato.


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Se cambierà rotta, comunque, spiega Marcello Foa, giornalista e docente universitario, già presidente Rai e conduttore di “Giù la maschera” su Rai Radio1 (autore di La società del ricatto, Guerini e Associati, 2025), lo farà tenendo ben salda la disamina della situazione da cui è partito, magari procedendo anche a qualche cambio in corsa nello staff, per esempio quello di Pete Hegseth al Pentagono. Ma soprattutto su commercio e accordi di pace Trump non può permettersi di non ottenere risultati.


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Secondo un sondaggio CNN, Trump ha un gradimento del 41%, il più basso tra i presidenti da Eisenhower in poi nei primi mesi di mandato. Il presidente USA “paga dazio” proprio sull’economia, cioè su uno dei cavalli vincenti in campagna elettorale?

La mia impressione è che Trump abbia una chiara cognizione di quelli che sono i problemi dell’America e di cosa non vuole. I problemi strutturali dell’America sono il debito pubblico alle stelle, che nei quattro anni di Biden è cresciuto in maniera vertiginosa, il deficit commerciale enorme, permanente, il deficit della bilancia dei pagamenti e il fatto che ormai è un Paese dove c’è molta ricerca, molti servizi, ma non c’è più industria. Quattro grossi “buchi” per quello che dovrebbe essere il profilo di una superpotenza. L’esito ultimo è che o si correggono questi squilibri oppure si va incontro a un destino che può essere anche un rapido tracollo.


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La diagnosi è chiara, ma la cura è stata altrettanto azzeccata?

Trump non vuole la globalizzazione, la considera un male. Il problema è che non basta fare una diagnosi corretta dei problemi per trovare le soluzioni giuste. Il presidente USA ha sbagliato alcuni approcci negoziali e si rende conto che non basta dire “voglio cambiare le cose” o usare metodi un po’ bruschi per ottenere i risultati sperati. Credo sia in una fase di ripensamento, di riposizionamento, per capire come può ottenere i risultati senza provocare un peggioramento dei problemi, invece che risolverli.

I media parlano già di un programma per i secondi 100 giorni, segno che c’è la consapevolezza di non aver raggiunto gli obiettivi prefissati. Si parla di interventi soprattutto in campo commerciale e in relazione ad accordi di pace. Sono queste le priorità per gli USA?

Assolutamente sì. Sulle questioni economiche si sta realizzando quello che Trump temeva. E in questo le sue scelte non si sono rivelate molto oculate. Un presidente a conoscenza del fatto che tutta l’industria americana o quasi è all’estero non può imporre dazi indiscriminati o comunque molto pesanti sulla Cina, che produce iPhone e beni cui l’America non può rinunciare. Pensava che bastasse fare la voce grossa, minacciando tassi al 50, 60, 70%, ma si è reso conto che i cinesi hanno a loro volta delle armi di contro-ricatto, per cui deve fare marcia indietro senza perdere la faccia. Anche perché un conto è essere contro la globalizzazione, un altro essere contro il libero scambio, al quale un uomo d’affari come lui non può opporsi. Mi aspetto che cambi: la strategia dei dazi a tutti, in particolare alla Cina, non sta funzionando.

Quanto alle guerre, in Ucraina e a Gaza si spara ancora. Riuscirà a porre fine ai combattimenti?

Vuole essere il presidente che porta la pace e ha dichiarato più volte che la guerra in Ucraina con lui non sarebbe mai scoppiata, però guardare al passato non basta. Si aspettava che facendo la voce grossa con Zelensky e minacciando un paio di sanzioni alla Russia tutti si impaurissero e acconsentissero a un accordo, senza considerare che non basta essere il numero uno al mondo per ottenere subito quel che si vuole. Anche perché in questo caso il Paese numero uno non viene più percepito come una potenza che può tutto.

Tra questi accordi di pace quello più abbordabile sembra l’intesa sul nucleare con l’Iran. Almeno questo obiettivo riuscirà a raggiungerlo?

Trump ha fatto arrabbiare molto Netanyahu, contrarissimo a queste trattative, che però si svolgono come si deve: si sa che ci sono, ma sono affidate ai tecnici e non escono dettagli. Per il momento sono quelle più promettenti, ma bisogna ancora capire fino a che punto l’Iran è disposto a spingersi e fino a che punto anche l’America vuole scendere a compromessi, considerando la variabile di un Netanyahu contrarissimo a qualunque accordo con Teheran.

Una delle falle più evidenti dell’amministrazione Trump è la gestione del Pentagono e della sicurezza. Pete Hegseth ha creato malumori all’interno della Difesa e nella vicenda delle chat condivise con persone che niente avevano a che fare con il governo USA non ha dato prova di affidabilità. Il presidente dovrà cambiare qualcosa?

Trump ha sbagliato chiaramente il cavallo su cui puntare. Trasformare un opinionista di Fox News nel capo del Pentagono, semplicemente perché a lui piace come conduce i talk show, è stata un’operazione avventata, puramente istintiva, ma disastrosa: chi ha responsabilità come quelle di Hegseth deve usare solo mezzi strasicuri per comunicare, non può utilizzare Signal. Non mi stupirei se tra qualche mese ci fosse un cambio della guardia al Pentagono; se Trump procedesse ora, la sua iniziativa verrebbe percepita come una sconfitta.

Anche i tagli nella pubblica amministrazione operati da Musk al DOGE sono stati contestati, oltre che dai dipendenti licenziati, anche dalla magistratura. Non rischiano, a lungo andare, al di là dei risparmi, di togliere risorse importanti all’America?

Trump vuole porre rimedio agli sprechi nella pubblica amministrazione e ha affidato questo compito a Musk, che da quanto si è capito ormai è in uscita. L’imprenditore della Tesla, però, ha gestito l’incarico come se fosse in un’azienda, pensando di fare quello che voleva. Ma nell’amministrazione pubblica non è così. Sotto questo aspetto vorrei evidenziare un punto che solitamente non viene tenuto in considerazione.

Quale?

Siamo abituati a parlare di un’America liberista e antistatalista, ma se andiamo a vedere i finanziamenti ai grandi gruppi della Silicon Valley, a Elon Musk prima per le auto elettriche e per le missioni satellitari, ci accorgiamo che in realtà è molto statalista. Stanzia cifre enormi affinché i privati possano sviluppare delle tecnologie. È successo con Google, Facebook, Elon Musk: l’elenco è piuttosto lungo. I server del governo americano girano sul cloud di Amazon oppure, in misura molto minore, sul cloud di Microsoft o Google. Tutte aziende, in questo caso, che hanno poteri di influenza e di ricatto implicito enorme.

Che problemi pone tutto ciò a Trump?

Il presidente americano si rende conto che una cosa è tagliare gli sprechi, i finanziamenti per ragioni ideologiche, come è stato fatto con USAID; ma tutto un altro conto è andare a “segare le gambe” di molti ambiti di ricerca, anche strategica, dove, al di là della retorica sull’imprenditore che investe e rischia, se lo Stato non mette a disposizione decine, centinaia di milioni di dollari, non si va da nessuna parte. Qui dovrà fare un po’ marcia indietro.

Ci sono già segnali che ci fanno pensare a un ripensamento di certe politiche da parte del presidente?

Trump deve portare a casa dei risultati, perché non vuol passare alla storia come un presidente che ha sbagliato tutto. Farà degli aggiustamenti, però mantenendo la sua visione di base, il giudizio sugli ambiti di intervento nei quali dovrà agire. Mi auguro che, essendo un uomo d’affari, si renda conto che gli strumenti per realizzare gli obiettivi non sempre sono quelli così diretti che lui usa di solito.

(Paolo Rossetti)

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Tags: Donald Trump

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