Secondo il Commodity Markets Outlook della Banca Mondiale, se il conflitto tra Israele e Hamas dovesse espandersi e coinvolgere altri Paesi del Medio Oriente, il prezzo del petrolio potrebbe raggiungere “acque inesplorate”. Intanto, però, l’Alto Consiglio di Stato della Libia, con sede a Tripoli, ha chiesto di interrompere l’export di idrocarburi verso i Paesi che sostengono Israele fino a quando non verranno fermati gli attacchi verso Gaza. Secondo Davide Tabarelli, Presidente di Nomisma Energia, «si tratta di un brutto segnale. Già l’Algeria aveva espresso, subito dopo i cruenti attentati di Hamas, il suo sostegno al popolo palestinese condannando i bombardamenti israeliani sulla striscia di Gaza, ma i flussi di gas non si sono interrotti. Le importazioni dalla Libia rappresentano il 10% circa dei nostri consumi, per cui un eventuale ammanco non sarebbe traumatico».
Perché, allora, parla di brutto segnale?
Perché la Libia ha sempre avuto in passato, specie ai tempi di Gheddafi, un ruolo di leadership nei movimenti anti-occidentali. Dunque, se la posizione espressa dal Consiglio di Stato dovesse contagiare altri Paesi del Nord Africa estendendosi poi al Medio Oriente, allora ci si potrebbe trovare di fronte a un problema serio, una situazione che comincerebbe a ricordare quella del 1973 che portò alla crisi petrolifera, con la differenza che oggi l’Europa dipende non poco dal Gnl che arriva dal Qatar.
Dunque, oltre al prezzo del petrolio salirebbe anche quello del gas, almeno in Europa….
Considerando che ci troviamo ancora in una crisi causata dall’invasione russa dell’Ucraina, se il Qatar smettesse di esportare Gnl, oppure le sue navi gassiere non potessero varcare lo Stretto di Hormuz, i prezzi mondiali esploderebbero e in Europa tornerebbero ai livelli mostruosi dell’anno scorso. Per il momento è ancora un’ipotesi lontana. Di una cosa, tuttavia, sono sicuro.
Quale?
I Governi di Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Qatar, Kuwait, Algeria, ecc. non farebbero mai un embargo verso i Paesi occidentali. Diversa è la posizione dei loro sudditi e cittadini, perché credo che se ci fosse mai un referendum in materia la maggior parte di loro voterebbe a favore dello stop all’export. Tuttavia, più passa il tempo, più cresce l’ostilità nei confronti dell’Occidente e più c’è il rischio che il sentimento dei cittadini diventi anche quello dei governanti.
Intanto ieri è stato diffuso il dato sull’inflazione spagnola di ottobre, che ha fatto registrare un nuovo aumento a causa del rialzo dei prezzi energetici. Si tratta di un campanello d’allarme?
Il campanello d’allarme non ha mai smesso di suonare perché gli attuali 50 euro a MW/h del Ttf di Amsterdam rappresentano un livello altissimo. Di fatto siamo costantemente in allerta da un anno e mezzo e dobbiamo affidarci alle condizioni meteo e climatiche per evitare il peggio. Questo è un segnale di debolezza circa la situazione europea. Non a caso negli Stati Uniti il prezzo del gas è di cinque volte inferiore.
Se in Medio Oriente e in Ucraina si arrivasse a una situazione di cessate il fuoco, con prospettive di fine delle ostilità, in Europa torneremmo ai prezzi di due anni fa?
Nell’immediato sì, sicuramente i prezzi calerebbero. Che poi torniamo a rifornirci di gas dalla Russia come prima mi sembra difficile, almeno finché c’è Putin.
Rischiamo più sui prezzi delle bollette o dei carburanti?<
Il rischio maggiore riguarda le bollette, soprattutto perché l’allargamento del conflitto in Medio Oriente è un’ipotesi al momento improbabile.
E purtroppo, come è emerso dalle bozze della manovra, si stanno sempre più restringendo i sostegni contro il caro bollette…
Avendo un debito pubblico elevato e dovendo rispettare i vincoli di bilancio europei, non possiamo fare diversamente. Purtroppo non è stato fatto molto sul lato dell’offerta. Sì, sono stati costruiti nuovi rigassificatori in Europa, ma la produzione interna di gas è in calo, le rinnovabili fanno poco, la Germania ha fermato le centrali nucleari, l’Italia potrebbe fermare quelle a carbone.
Qual è la strategia energetica che ci vorrebbe di fronte a una situazione come quella che stiamo vivendo?
Diversificazione, economicità e ambiente sono le direttrici principali delle politiche energetiche. Finora ci si è mossi perlopiù sul fronte ambientale. Va certamente bene spingere sulle rinnovabili, ma in questo momento di crisi vanno valorizzate anche le centrali a carbone, tenendole aperte, anche perché a rispetto ai livelli di emissioni di CO2 globali non contano nulla. Dobbiamo poi riprendere in mano la produzione nazionale, perché abbiamo tantissimo gas sotto il nostro suolo, ma preferiamo andarlo a prendere negli Stati Uniti, senza considerare il costo ambientale che questo comporta.
Per il trasporto via mare del Gnl?
Non solo. Non dobbiamo dimenticare, infatti, l’impatto ambientale del gas prodotto con il fracking, che non è marginale negli Stati Uniti. Ma è in ogni caso rischioso, come stiamo vedendo in queste settimane, rinunciare al gas del nostro sottosuolo per andare a rifornirci da altri Paesi che potrebbero poi decidere di bloccare o limitare le esportazioni.
(Lorenzo Torrisi)
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