Durante la sua trasferta a New Orleans per assistere al Super Bowl, Donald Trump ha annunciato l’intenzione di introdurre nuovi dazi generalizzati del 25% sulle importazioni di acciaio e alluminio, che quindi colpiranno anche l’Europa, oltre che Canada, Messico e Cina. Tra l’altro oggi a Parigi, a margine del summit sull’intelligenza artificiale organizzato da Emmanuel Macron, la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen incontrerà il Vicepresidente americano J.D. Vance ed è inevitabile pensare che tra i temi del loro colloquio ci saranno anche i dazi che la Casa Bianca ha promesso di voler introdurre nei confronti delle merci Ue.
Intanto sono entrati in vigore ieri i controdazi di Pechino su carbone, Gnl e altri beni americani in risposta all’aumento del 10% delle tariffe doganali statunitensi sui beni importati dal gigante asiatico. C’è il rischio di una seria guerra commerciale tra le due principali potenze economiche globali? Secondo Mario Deaglio, Professore emerito di Economia internazionale all’Università di Torino, «tra Stati Uniti e Cina siamo ancora alla fase degli assaggi».
La guerra commerciale è, quindi, destinata a inasprirsi?
Penso di sì. Un po’ dappertutto si è creato un clima politico ideologico per cui è meglio prodursi in casa ciò di cui si ha bisogno. Non a caso è da ormai tre anni che il commercio internazionale non cresce più. La globalizzazione è di fatto finita. Non ci saranno conseguenze catastrofiche, ma senz’altro una riduzione del tasso di crescita del Pil complessivo in un mondo i cui poli si sta stanno allontanando l’uno dall’altro.
L’Europa risentirà dei nuovi dazi su acciaio e alluminio annunciati da Trump?
Mi sembra che si tratti di dazi che non colpiscono “centri vitali” europei. Sarebbero più problematiche tariffe sui prodotti agroalimentari dell’Ue. Che, però, avrebbero anche ripercussioni interne non indifferenti: già con la stretta sull’immigrazione, che toglie manodopera dai campi, i prezzi dei beni agricoli americani stanno crescendo; se venissero incrementati, via dazi, anche quelli dei beni dello stesso genere importati a quel punto l’inflazione, già molto aumentata negli Stati Uniti, riprenderebbe slancio, generando malcontento tra i cittadini.
Trump ha annunciato di voler introdurre dazi nei riguardi dell’Ue. Potrebbe varare misure simboliche per far sì che poi l’Europa non approfondisca le relazioni economiche con Pechino?
La posizione più estrema da parte americana sarebbe quella di ignorare il problema, ma potrebbe anche essere che di fronte a rimostranze e pressioni interne la Casa Bianca si limiti a qualcosa di poco più che simbolico, per esempio tariffe generalizzate del 10%, oppure che colpiscono beni secondari. Trump potrebbe in questo modo dire di aver agito come promesso, ma senza spostare in maniera significativa gli equilibri.
L’Ue ha comunque promesso che risponderà ai dazi degli Usa. Se lo facesse rischierebbe di generare una spirale negativa come quella che si preannuncia tra Stati Uniti e Cina?
Penso occorra una certa cautela da parte europea, anche perché non va dimenticato che nel 2026 entrerà a regime il Carbon border adjustment mechanism (Cbam), legato al Fit for 55 che fa parte del Green Deal, che di fatto introdurrà delle tariffe sull’importazione di beni prodotti in Paesi con standard ambientali meno rigidi rispetto a quelli dell’Ue. Già questo rappresenterebbe una risposta non marginale ai dazi.
L’Europa ha delle contropartite con cui trattare con gli Usa per evitare l’introduzione di dazi severi?
Penso ne abbia diverse. In primo luogo, proprio per quel che riguarda la concreta applicazione del Cbam. In secondo luogo, i settori di punta degli Usa oggi riguardano i prodotti dei Big Tech, tra cui l’Intelligenza artificiale, che la regolamentazione europea può in qualche limitare. Inoltre, c’è sempre la questione relativa alla spese per la difesa dei Paesi membri della Nato.
Infine, è noto che il suolo ucraino è ricco di terre rare che farebbero comodo all’Ue, ma che interessano anche gli Stati Uniti, oltre che la Russia. Non penso sia un caso che Bruxelles chieda di essere coinvolta nelle trattative di pace che Trump intende accelerare. Detto questo, oggi per l’Ue è difficile prendere decisioni importanti prima delle elezioni tedesche.
Nelle ultime settimane si sta assistendo a un significativo rialzo delle quotazioni dell’oro. Un fenomeno dovuto alla situazione di generale incertezza?
In parte sì. Non bisogna, tuttavia, dimenticare il progetto dei Brics volto a creare una valuta alternativa al dollaro per gli scambi internazionali. Valuta che verrebbe legata all’oro, che non a caso la Cina sta acquistando da tempo. A livello embrionale esistono le strutture per consentire l’introduzione di questa valuta, ma già per gli Stati aderenti ai Brics ci sarebbe prima da superare una fase di armonizzazione dei cambi, un po’ come avvenuto per i Paesi dell’Ue che hanno poi aderito all’euro.
Trump ha detto di voler contrastare in maniera forte questo progetto dei Brics…
Sì, ed è anche per questo che si sta muovendo in maniera un po’ più dura sui dazi contro la Cina. Che tra l’altro, proprio grazie alle pressioni di Trump, ha visto Panama disdettare l’accordo sulla Via della Seta. Anche se non va dimenticato il progetto di Pechino di costruire una ferrovia in America Latina che avrebbe la stessa funzione del Canale, che oltretutto sta anche patendo dei problemi legati ai periodi di siccità, durante i quali il transito delle navi viene significativamente ridotto.
(Lorenzo Torrisi)
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