In Europa si continua a guardare con apprensione alle decisioni che Donald Trump prenderà in tema di dazi. Tuttavia, come si è visto nel caso di Messico e Canada, sembra possibile negoziare con il Presidente americano offrendo qualche contropartita.
Anche l’annunciata uscita di Panama dalla Via della Seta sembra essere un messaggio alla Casa Bianca dopo le minacce di riprendersi, anche con la forza, il controllo di uno snodo commerciale strategico come il Canale tra le due Americhe.
Bruxelles potrebbe offrire qualcosa a Washington ed evitare l’applicazione di dazi? Giulio Sapelli, professore emerito di storia economica all’Università degli studi di Milano, pensa “che sia impossibile, per via del meccanismo con cui Trump lavora per l’applicazione dei dazi, che è la minaccia dell’uso della potenza militare. È distorsiva l’immagine del Presidente Usa come negoziatore”.
In che senso è distorsiva?
Lui sa di avere un rapporto di potenza militare di gran lunga superiore al resto del mondo, tranne forse la Cina, che non è però economicamente forte come sembra.
E nel caso dell’Europa, priva di un vero apparato di difesa, minaccia di lasciarla sola in Ucraina e, soprattutto, in quel plesso di Paesi del complesso danubiano-balcanico dove non mancano scricchiolii, come nel caso della Serbia. L’Europa, quindi, dipende fortemente dagli Stati Uniti.
Sul fronte militare c’è da dire che proprio a inizio settimana i leader dei 27 Paesi membri dell’Ue si sono visti per discutere l’aumento della spesa per la difesa richiesto da Trump per non lasciare la Nato e c’è stata anche l’apertura a una golden rule per non conteggiarla ai fini del rispetto dei parametri del Patto di stabilità. Questa non sarebbe una contropartita sufficiente?
Non credo. Va anche detto che in questo momento i Paesi dell’Ue appaiono divisi come non mai. La Germania attraversa una crisi che pare senza fine, la Francia è politicamente paralizzata, i Paesi scandinavi non mi sembra che brillino per coordinamento con l’Ue, come anche la Polonia.
Più facile, come è stato ipotizzato, che vi siano dazi asimmetrici, con negoziati tra Washington e i singoli Paesi membri piuttosto che con Bruxelles?
So che non è un’opinione che va per la maggiore, ma credo che sia l’unica strada che si possa percorrere. Del resto anche l’accordo che von der Leyen ha siglato con il Mercosur verrà probabilmente bocciato visto che non tutti i Paesi, in particolare la Francia, lo hanno condiviso.
Meglio, quindi, andare in ordine sparso lasciando che ogni Stato tratti singolarmente. D’altronde Paesi con sistemi produttivi diversi e diversi rapporti tra agricoltura, industria e servizi come quelli dell’Ue come potrebbero mai affrontare uniti una guerra commerciale senza creare nuove divaricazioni tra loro?
Se non si va uniti si lascerà a Trump la possibilità di trattare meglio i Paesi e i Governi che considera amici rispetto agli altri…
Credo che Trump farà quel che gli diranno i suoi grandi sponsor, i rappresentanti del grande capitalismo. Non solo le Big Tech e le grandi corporations, che hanno finanziato la sua campagna elettorale e i cui esponenti abbiamo visto alla cerimonia di insediamento, ma anche le piccole imprese, che negli Stati Uniti sono molto più rappresentate e tutelate rispetto all’Europa. Chi è più importante tra Trump e Musk? Senza dubbio il secondo.
Se è così importante, come dobbiamo prendere la sua uscita sul “Make Europe Great Again”?
Penso che non si debba badare e credere a tutto quello che dice o a tutto quello che scrive sui social. Mi pare che non abbia nascosto certe abitudini poco salubri del suo stile di vita.
Se ci saranno dazi differenziati non si corre il rischio di alimentare l’implosione dell’Ue?
Non fasciamoci la testa: l’economia europea è indebolita, ma ha ancora delle cartucce da sparare. Certamente, però, l’Ue sarà messa in grandi difficoltà.
E forse questa crisi potrà avere degli effetti positivi, perché comincerà a smorzare la Burocrazia celeste: si capirà che tutti questi burocrati e funzionari dell’Ue non sanno fare nulla se non scrivere regole e inventarsi un diritto europeo che non può esistere dal momento che manca una Costituzione europea, piuttosto che creare qualcosa di più pericoloso dei dazi di Trump.
A che cosa si riferisce?
Alle politiche green. È evidente che stanno distruggendo l’industria, e non solo visto che hanno implicazioni anche per l’agricoltura, creando più danni di quelli che sarebbero in grado di generare i dazi americani.
Al vertice europeo di inizio settimana ha partecipato anche il Primo ministro britannico Starmer ed è stato deciso che il 19 maggio si terrà il primo vertice bilaterale Ue-Regno Unito. Una scelta che ha a che fare anche con i rapporti tra Bruxelles e Washington?
Il Regno Unito, insieme ai Paesi scandinavi, fa di fatto parte del plesso militare-industriale dell’anglosfera. Anche l’Italia dalla fine della Seconda guerra mondiale. In fondo la Meloni a palazzo Chigi non è che la rivelazione della dipendenza, ormai da 80 anni, del nostro Paese dagli Stati Uniti.
Restando al vertice bilaterale Uk-Ue, chi tra le due parti ha più interesse a riallacciare i rapporti con l’altra?
La situazione economico-sociale inglese è critica. Penso, quindi, sia più interesse del Regno Unito riallacciare i rapporti per cercare di uscire da una crisi in cui si è cacciata dopo l’infausto referendum sulla Brexit. Con l’uscita dall’Ue Londra si aspettava di avere una sponda dagli Stati Uniti, ma non l’ha avuta.
Torno alla sua risposta precedente per chiederle se tra i Paesi scandinavi facenti parte dell’anglosfera c’è anche la Danimarca.
Certamente.
Allora perché mostra così tanta opposizione rispetto alle mire di Trump sulla Groenlandia?
Perché le regole diplomatiche non possono essere buttate al vento. La Groenlandia, senza passare per gli atti formali, diventerà di fatto un protettorato americano. Dell’anglosfera fa parte anche la Spagna, che agisce come intermediario tra gli Stati Uniti e l’America Latina: il caso di Panama lo sta dimostrando.
Chi oggi in Europa non fa parte dell’anglosfera?
In primis, la Francia. E poi la Germania, che non è mai stata voluta dagli Stati Uniti, che anzi l’avrebbero ridotta a un campo di patate. Berlino con i suoi rapporti con Pechino ha creato non pochi problemi a Washington. Non si può in ogni caso non vedere in Italia un conflitto tra Meloni e Mattarella legato proprio ai rapporti con gli Stati Uniti, visto che il capo dello Stato appartiene a quella cultura che non voleva firmare il Patto atlantico.
Ci siamo dimenticati che mentre a palazzo Chigi ci si congratulava con Trump per la vittoria alle presidenziali
Mattarella stava per partire per una visita di sei giorni in Cina nel corso della quale ha partecipato all’inaugurazione dell’Agnelli Chair of Italian Culture, di cui è primo titolare un rappresentante del capitalismo francese come Prodi? In Italia c’è oggi una lotta tra filo-atlantici e anti-atlantici. E il Pd, che non sta né da una parte, né dall’altra, ne uscirà stritolato.
A proposito di Cina, Ursula von der Leyen ha ribadito l’altro giorno che si possono trovare accordi per espandere i legami commerciali e di investimento tra Ue e il gigante asiatico. Cosa ne pensa?
Fare queste dichiarazioni proprio nel momento in cui si parla dei possibili dazi americani contro l’Ue vuol dire non conoscere l’Abc della diplomazia, come del resto la Presidente della Commissione ha già dimostrato nella sua carriera politica.
Persistere in un atteggiamento anti-americano anziché scegliere il silenzio su quello che negli Stati Uniti è considerato sia dai Democratici che da Repubblicani un nemico, ovvero la Cina, vuol dire essere digiuni di qualsiasi nozione diplomatica.
È veramente penoso che una persona così abbia una carica come quella che ricopre. Forse è addirittura peggio del caso della Lagarde, un avvocato d’affari a capo della Banca centrale europea.
Professore, dal quadro che ha delineato è difficile non pensare che si arriverà a una disgregazione dell’Ue.
Auguriamoci che non ci si arrivi, perché la disgregazione comporterebbe degli altissimi costi sociali. Ciò non toglie che viviamo tempi pericolosi per via dell’incapacità strutturale delle classi dominanti dell’Ue di comprendere la congiuntura mondiale. Bisogna in ogni caso far di tutto perché ci siano dei punti di contatto che evitino una disgregazione dell’Ue.
(Lorenzo Torrisi)
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.