La settimana scorsa, il 4 e il 5 marzo, due documenti Istat hanno ritratto un’Italia prostrata dalla pandemia, che nell’arco di un anno ha fatto crollare il Pil di quasi il 9% dopo vent’anni circa di stagnazione, riportando il Paese ai livelli in cui era quando venne formata l’unione monetaria europea. Il primo riguarda la povertà assoluta, aumentata di un milione di persone nel 2020, con un marcato peggioramento al Nord e con una forte contrazione dei consumi, soprattutto di quelli alimentari. Il secondo concerne uno degli effetti più visibili della pandemia: l’aumento dei decessi; nel 2020 il totale è stato il più alto mai registrato nel nostro Paese dal secondo dopoguerra: 746.146 decessi, 100.526 in più rispetto alla media 2015-2019 (15,6% di eccesso).
È in questa Italia che il Governo Draghi è stato chiamato a delineare e attuare una politica economica che porti a un cammino di ripresa. Un percorso irto e tutto in salita, ma di cui è necessario che si vedano i primi frutti nell’arco di pochi mesi per dare ai soggetti economici (individui, famiglie e imprese) il grado di fiducia e lo stimolo essenziale per mettersi su una strada senza dubbio difficile ma che possa fare vedere la luce alla fine del tunnel.
Gli strumenti di cui dispone sono essenzialmente due: la politica di bilancio e la politica delle attività produttive, essenzialmente dell’industria. La politica monetaria è sotto il controllo delle autorità europee, in particolare della Bce; sino al marzo 2022 – sappiamo – resterà estremamente “accomodante”, nel senso che la Bce acquisterà tutti i titoli di stato che mettiamo sul mercato e che non troveranno altri compratori. Anche in materia di politica di bilancio, abbiamo i vincoli, per ora sospesi, delle regole di appartenenza all’unione economica e monetaria europea. In tema di politica delle attività produttive, e in particolare di politica industriale, dobbiamo seguire la normativa del mercato unico europeo, per ora in parte sostituita da un “quadro temporaneo” che ammette deroghe ai principi di concorrenza.
Due documenti della Commissione europea, sono usciti la settimana scorsa: il primo è una “comunicazione della Commissione al Consiglio” su “un anno dall’inizio della pandemia Covid-19: la risposta di politica di bilancio”; il secondo è una comunicazione, sempre della Commissione al Consiglio, in materia di “criteri per l’analisi della compatibilità con il mercato interno degli aiuti di Stato destinati a promuovere la realizzazione di importanti progetti di comune interesse europeo”. Il primo è un documento compiuto che sarà presto all’esame del Consiglio dei Capi di Stato e di Governo dell’Unione europea. Il secondo una bozza che gli uffici della Commissione stanno esaminando con le Rappresentanze permanenti dei 27 ed è, quindi ampiamente diffuso nei ministeri dell’Economia e delle Finanze degli Stati dell’Ue. Leggerli insieme permette di intravedere quella che sarà l’unione economica e monetaria europea quando il Consiglio dei Capi di Stato e di Governo dell’Ue stabilirà che si sarà usciti della pandemia.
Com’è stato sottolineato su “Il Commento Politico”, la testata edita dalla Fondazione Ugo La Malfa il 6 marzo, i due documenti pongono l’accento sulla qualità della spesa pubblica e sulla selettività degli interventi a sostegno di attività produttive, in specie in campo industriale. È, quindi, una sfida ampia per la messa a punto e l’attuazione di una politica di ripresa. Rispetto alle tematiche sviscerate nei due documenti Istat implica in primo luogo: a) un fortissimo accento alla lotta alla pandemia (se del caso facendo ricorso a limitazioni più severe) per anticipare gli andamenti del virus invece di seguirli anche e soprattutto in quanto la ripresa non potrà iniziare sino a quando il Covid-19 non sarà sotto controllo; e b) una drastica revisione degli ammortizzatori sociali – Reddito di cittadinanza in primis – e delle politiche attive del lavoro. Rispetto alle più vaste esigenze di politica di bilancio, è essenziale rivedere “il metodo dei bonus”, la cui scarsa trasparenza e inefficienza è stata riproposta in un’analisi dell’Osservatorio dei conti pubblici dell’Università Cattolica pubblicata il primo marzo, e puntare essenzialmente sulla crescita, selezionando con cura gli interventi in linea con quanto proposto a metà dicembre 2020 dal “Gruppo dei Trenta” (un’associazione di consiglieri di governi, istituzioni internazionali e imprese) in un rapporto co-firmato da Mario Draghi.
Sono indicazioni di politica economica che lo stesso Draghi, nella veste di presidente del Consiglio, ha delineato nella presentazione alle Camere del programma di Governo. Ciò può voler dire cessare di elargire ancora aiuti ad Alitalia (che nelle sue differenti denominazioni ne ha già ricevuti per circa 16 miliardi) senza un chiaro e realistico piano industriale, limitare il supporto all’ex-Ilva a una riconversione ambientale degli impianti che comporti una riduzione dei piani di produzione in linea con valutazioni realistiche della capacità di assorbimento da parte del mercato e chiedersi se è necessario il controllo pubblico (tramite la Cassa depositi e prestiti) di Autostrade per l’Italia. Per non citare che tre temi “caldi” sulle scrivanie del Governo.