La Fondazione Ebert, tedesca di area socialdemocratica, è presente in Italia dagli anni ’70. Con regolarità presenta indagini sui rapporti fra il nostro Paese e la Germania e svolge ricerche per analizzare i fenomeni sociali che interessano le due realtà nazionali. L’ultima riferita al nostro si occupa della situazione sociale delle provincie italiane operando un confronto sulle diseguaglianze socioeconomiche esistenti.
Se riteniamo che basti la distinzione Nord-Sud per illustrare le differenze di status sociale fra i territori del nostro Paese, la ricerca della Fondazione Ebert porta alla luce una realtà più complessa, prendendo in considerazione sei tipologie di parametri: economia e mercato del lavoro, capitale umano, demografia, servizi, qualità della vita e capitale civico. Sulla base dell’analisi dei cluster si arriva a definire 5 tipologie territoriali.
Nel primo cluster troviamo le provincie con le migliori condizioni socioeconomiche (Milano, Torino, Roma, le province emiliane, Firenze, Pordenone, Rimini), compresi i tradizionali poli industriali del Paese e le zone di crescita di imprese innovative. Sono province di crescita dell’innovazione industriale e dei servizi dove però si amplia la difficoltà economica dei lavoratori con redditi bassi a causa dei costi della casa e dei servizi sociosanitari alla persona.
Il secondo gruppo include le province del nord a forte vocazione industriale e manifatturiera. L’assenza della parte più innovativa dell’economia fa sì che vi siano aspetti di scarsa diffusione di servizi culturali e non mancano problematiche di costo della vita per i salari più bassi.
Terzo cluster, trasversale al Paese, include province (salvo quelle presenti negli altri cluster) di Liguria, Umbria, Marche, Romagna, Piemonte, Toscana, e Aosta, Pescara e Cagliari. Sono zone dove si trovano ancora situazioni economiche di buon livello e buone opportunità occupazionali. L’insieme dei parametri sociali è nella media determinando così una situazione di equilibrio sociale.
Il quarto gruppo di province è di territori del Sud che hanno potenzialità: presentano una situazione economica e lavorativa problematica, ma hanno opportunità nel capitale umano e territoriale che potrebbero alimentare una futura crescita economica.
L’ultimo gruppo di province del Sud (Caserta, Napoli, Salerno, Barletta-Adria-Trani, Foggia, Taranto, la Calabria, eccetto Catanzaro, la Sicilia eccetto Ragusa, il sud della Sardegna) presenta dati negativi su tutti i parametri e necessiterebbe di interventi mirati a partire dagli investimenti nel capitale umano.
Appare evidente dall’analisi dei diversi territori che le diseguaglianze socioeconomiche rilevate fanno emergere una situazione di accesso al benessere da parte dei cittadini molto diversificata. Interventi tesi a sanare le diseguaglianze esistenti non possono che essere diversificati, capaci di intervenire sui ritardi locali rilevati e sfruttare le particolarità positive presenti. Alla base di tali interventi non può che esserci un investimento in agenzie pubbliche capaci di politiche territoriali integrate e verso i corpi intermedi presenti localmente per un coinvolgimento nella coprogettazione e coprogrammazione delle iniziative territoriali da intraprendere.
Cercando di guardare più da vicino le analisi presentate ci concentriamo sui parametri legati al lavoro e alla occupazione. Se utilizziamo semplicemente il tasso di occupazione otteniamo che si va dal primo all’ultimo cluster in modo lineare. Passiamo dal quasi 70% del primo gruppo di province al 44,5% dell’ultimo, con il secondo e il terzo quasi appaiati al primo e il quarto con 10 punti percentuali più dell’ultimo.
Anche l’andamento del salario orario segue la medesima distribuzione. Va però in questo caso tenuto conto che nel primo cluster pesano professioni meglio pagate che incidono nell’alzare il valore medio e che sulla qualità della vita incide il differente costo dei servizi di base che caratterizza le aree provinciali.
Gli effetti demografici pesano sui diversi territori e lavorano in modo diversificato per l’attrazione dei movimenti migratori. Il tasso di dipendenza (rapporto fra la popolazione inferiore ai 15 anni e superiore ai 64 sulla popolazione in età lavorativa) indica nel quinto cluster il rapporto migliore (nel sud il tasso di natalità rimane più alto e l’emigrazione contiene il numero di anziani). È il terzo cluster a mostrare il rapporto peggiore. Ciò è probabilmente dovuto all’essere zone di attrazione per i pensionati, province con un buon rapporto nei costi della casa e dei servizi, buoni servizi culturali e con un saldo migratorio positivo quasi al livello del primo cluster.
L’attrazione per chi ha investito nello studio è invece verso le province più avanzate. La presenza di laureati è qui di 5 punti superiore ai due gruppi che seguono (35% contro il 29%) e ben 22 punti superiore alla situazione delle provincie dell’ultimo gruppo. I parametri che influiscono a determinare il differenziale di genere portano a indicare come le situazioni migliori per le donne siano agli estremi. Per chi è inserita nel lavoro e nelle professioni la differenza minore sta nel primo cluster. Nell’ultimo per quante partecipano meno alle attività economiche. La situazione peggiore risulta quella delle province dove prevale il sistema manifatturiero più tradizionale.
L’analisi delle diseguaglianze territoriali, anche valutando solo gli aspetti economici e del lavoro, indica che se si vogliono portare a livelli di eguaglianza le opportunità offerte dai territori non si può ricorrere a servizi rigidi, ma occorre avere capacità di interventi calibrati e puntare sulle competenze e le risorse presenti in ogni territorio.
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