Che cos’è la scienza? Per le persone comuni, la scienza è quella parte della conoscenza difficile da comprendere e per la quale sono necessari gli scienziati; per molti la scienza si confonde con la tecnologia, ossia con la sua applicazione funzionale ai bisogni della società, per altri ancora è ciò che l’umanità sa e cerca continuamente di sapere per padroneggiare la natura.
Shakespeare fa dire al suo Amleto “Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia”. Se Amleto avesse detto scienza, invece di filosofia, la frase avrebbe il medesimo significato. La scienza è ciò che l’uomo genera per penetrare il cielo e la terra, per dirla con Shakespeare.
Qualcuno fa nascere il pensiero scientifico all’incirca nel secolo di Shakespeare. Qualcun altro lo fa nascere un secolo più avanti, quando Galileo codifica il metodo per l’analisi scientifica. Per noi e per molti, invece, la scienza è nata molti millenni prima, da quando l’homo sapiens ha trovato il modo di sviluppare e cercare di applicare il proprio sapere al proprio ambiente di vita, innovando per soddisfare i bisogni propri e quelli della comunità in cui viveva, per comprendere e padroneggiare una natura generosa ma talvolta ostile, e per organizzarsi socialmente; in altre parole, per migliorare il proprio presente e preparare un futuro migliore.
La scienza è conoscenza per l’uomo. Non per un uomo, bensì per l’uomo, ossia per l’umanità. Quindi, il più fine tra i sapienti che tenga per sé la propria conoscenza, che non la condivida, resta un sapiente ma non diventa stricto sensu uno scienziato.
Occorre distinguere scienza da scienziati. La pandemia da Covid-19 è stata una fase della storia in cui è parsa nitida la distinzione tra la scienza, di cui si è avvertito un acuto bisogno, e gli scienziati, le cui esternazioni sono state ossessivamente veicolate dai media verso l’opinione pubblica. A causa della novità di quel virus e dei relativi vaccini, la scienza medica ha dovuto anche improvvisare, mostrando non pochi limiti, mentre gli scienziati hanno fatto capire che stavano facendo del loro meglio per superare quei limiti. I politici, nell’imporre restrizioni ai comportamenti della gente, asserivano che “dovevano seguire la scienza”, anche se era chiaro, stante la diversità di opinioni degli scienziati, che non c’era un modo unico di intendere la scienza e addirittura che certi “metodi scientifici” potevano essere contestati.
La pandemia è stata un episodio che si è inserito in uno storico lamento dei ricercatori sociali sul declino della fiducia – o, se si vuole, sulla crescente sfiducia – nella scienza. In tutto il mondo, negli ultimi decenni, è infatti aumentato lo scetticismo nei confronti della scienza, seppure a fronte di un entusiasmo per le scoperte scientifiche in ogni campo, dalla fisica, alla chimica, al calcolo elettronico, alla biologia, alla cura delle malattie, all’analisi dell’ambiente e delle relazioni sociali, solo per citarne alcuni.
Alcuni studiosi evidenziano che l’entusiasmo è discriminatorio, nel senso che ci sono persone che, delle scoperte scientifiche, percepiscono prevalentemente gli aspetti positivi e altri che, al contrario, intravedono nelle scoperte più rischi che opportunità. Per esempio, l’intelligenza artificiale è una innovazione che genera genuino entusiasmo per le enormi potenzialità, ma anche rischi connessi alla possibile violazione della privacy, alla pigrizia mentale che può indurre negli utenti, sostituendosi al pensiero umano, nonché alla facilità con cui possono essere creati documenti verosimili e false notizie.
Alcuni studiosi attribuiscono lo scetticismo per le scoperte scientifiche all’ignoranza della scienza, nel senso che chi meno conosce i temi in questione è anche meno disposto a riconoscerne l’utilità. Tipicamente, le persone più istruite tendono a fidarsi di più dei possibili benefici della scienza. La fiducia, tuttavia, riguarda cose che si possono solo immaginare, oppure che si possono percepire indirettamente da fenomeni sotto gli occhi di tutti. Ciò che non è socialmente accettabile è che si bolli come ignorante chi non si fida di un’innovazione.
La pandemia è stata uno scalino nella fiducia della scienza. Inizialmente, appena esplosa la pandemia, l’indagine internazionale Wellcome Monitor (2020) aveva rilevato una breve inversione di tendenza, ossia un aumento di fiducia nella scienza e negli scienziati, ma già alla fine del 2020 la cacofonia degli scienziati in TV e sui social media ha generato quella che è stata chiamata “infodemia”, per indicare una epidemia di informazioni più o meno tecniche e spesso divergenti. Sotto la direzione ritenuta esperta delle organizzazioni nazionali (Istituto Superiore di Sanità) e internazionali (Unione Europea-UE, Organizzazione Mondiale della Sanità-OMS) coinvolte nella gestione della pandemia e dei vaccini. E con l’ulteriore rumore di fondo della grancassa cacofonica dei giornalisti.
Un gruppo di studiosi universitari italiani si è quindi proposto di capire quale fosse la fiducia nella scienza medica dopo lo shock della pandemia in Italia. Tramite un questionario somministrato tramite il www (tecnica CAWI – Computer Assisted Web-based Interviewing), sono stati ottenuti 504 questionari, di cui 499 compilati da italiani adulti e, tra questi, 423 da rispondenti in età 18-34 anni, d’ora in avanti denominati giovani adulti. Le risposte ottenute sono sintetizzate nella Tabella 1.
Emerge senza ombra di dubbio che tra i giovani italiani solo una minoranza è scettica nei confronti della scienza, dato che il 90% ha asserito di fidarsi della scienza e circa il 60% di fidarsi del sistema sanitario e delle ditte farmaceutiche e una proporzione ancora superiore (71%) di credere nell’efficacia dei vaccini. Anche gli enti locali (comuni, ASL), quelli internazionali (UE) e sovranazionali (OMS) sono stati giudicati positivamente da circa metà dei giovani rispondenti. Pertanto, i rispondenti hanno fatto sapere che considerano il metodo scientifico e le sue applicazioni come risorse per il proprio benessere e che il sistema sanitario, tutto sommato, risponde ai loro bisogni. Questo fa pensare che sia i prodotti scientifici, sia il sistema che li diffonde presso la popolazione possano essere accettati dalla maggioranza della popolazione anche nell’eventualità di una prossima pandemia.
Se, però, le risposte si leggono allo specchio, si nota che circa la metà, anzi più della metà se si considerano la UE e gli enti locali, hanno ottenuto valutazioni negative. Le domande poste non distinguevano se ciò era inerente all’attività sanitaria svolta o solo alla comunicazione pubblica, però il messaggio non è certamente incoraggiante. Anche il sistema sanitario ai vari livelli territoriali è stato giudicato mediamente non del tutto efficace. Inoltre, i rispondenti affermano a larga maggioranza (63%) che gli scienziati non sono stati capaci di comunicare su virus e vaccini, confondendo la gente che si aspettava, invece, i chiarimenti del caso.
In definitiva, seppure a fronte di un generale apprezzamento per le potenzialità e l’incisività dei risultati della scienza, si notano diverse incertezze dei rispondenti nei confronti della capacità degli esperti, delle istituzioni e dei canali di comunicazione di veicolare in modo convincente informazioni sulle variabili sanitarie. Questo, nel caso di future emergenze e nel caso di campagne di vaccinazioni, potrebbe causare esitazioni di ampiezza molto maggiore di quelle, tutto sommato contenute (circa il 6-8%), manifestate dai cosiddetti no-vax nel corso della scorsa pandemia.
L’incrocio delle risposte sulla fiducia con le caratteristiche sociali riprodotte nella Tabella 1 mostra che l’istruzione a livello universitario dei rispondenti è positivamente correlata con i giudizi più positivi su come le istituzioni sanitarie internazionali hanno gestito la crisi epidemica, sia informando i cittadini, sia gestendo le campagne vaccinali. Questo, indirettamente, supporta l’ipotesi di una particolare empatia tra il mondo della scienza ufficiale e quello dell’istruzione.
Inoltre, i rispondenti del meridione d’Italia hanno mostrato una minore tendenza all’impiego della tecnologia e alla fiducia negli ospedali, negli enti pubblici e nel sistema sanitario nel suo complesso, mentre hanno apprezzato più dei residenti nelle altre regioni italiane l’impegno delle case farmaceutiche nel produrre i vaccini. Anche questo atteggiamento di scetticismo nei confronti di tutto ciò che è pubblico non è nuovo tra le genti del Sud del Paese.
Giovi sapere che analisi svolte a parte sulla popolazione più avanti negli anni (dati qui non riportati) hanno dimostrato che la fiducia nella scienza e nel sistema sanitario cala all’aumentare dell’età della popolazione. Pertanto, la relazione tra fiducia nella scienza e istruzione (che è mediamente inferiore presso le generazioni più mature), dimostrerebbe ancora una volta che la fiducia nella scienza e la conoscenza ottenibile con l’istruzione vanno di pari passo.
Se, invece, l’età si considera una misura dell’esperienza delle persone, si dimostra esattamente l’opposto, ossia che quanto più si conosce il sistema pubblico dei servizi, tanto più si è diffidenti. Quale delle due ipotesi sia la più vera, è difficile dire: probabilmente sono vere ambedue, in proporzioni diverse. Comunque sia, qualora in Italia fosse necessario comunicare in modo rapido ed efficace, sarebbe opportuno che la comunicazione fosse diretta verso una prassi rispettosa dell’antico motto di non sovrastimare la conoscenza della gente, ma neppure di sottostimare la saggezza che loro deriva dal vivere.
Si noti che le esitazioni nei confronti della scienza applicata sono frequenti in ogni Paese occidentale. La generalità territoriale del fenomeno, unita alla crescita tendenziale della sfiducia, rende difficile sia capire le ragioni dell’ambivalenza del fenomeno – ossia l’apprezzamento per le scoperte scientifiche e la sfiducia negli scienziati e nelle istituzioni che ne sono il tramite – sia intuire i possibili rimedi per arrestare o invertire la tendenza negativa.
Non disponiamo di dati idonei a rivelare le ragioni profonde delle incertezze mostrate dai rispondenti. Abbiamo, tuttavia, alcuni riscontri indiretti, basati sulla correlazione con altre variabili. Da analisi statistiche più complesse sugli stessi dati che abbiamo commentato, è emerso che l’atteggiamento nei confronti della scienza non dipende da aspetti della personalità. Tra le altre cose, è stato dimostrato che non dipende dalla percezione che le persone hanno del proprio futuro, né dallo spirito di resilienza rispetto alle prove che dà la vita.
I dati della Tabella 1 indicano, infine, che la scienza è cosa ben distinta dalla tecnologia. Che siano due cose diverse è evidente dalle definizioni, ma la loro interdipendenza è così elevata che non raramente le si considera sinonimi. La scienza è, infatti, la serie di teorie e di attività empiriche che mira a produrre conoscenza per i bisogni dell’uomo, mentre la tecnologia è la strumentazione (hardware) e le regole (software) volte ad ottenere i medesimi obiettivi. Non è un caso che solo un terzo dei giovani rispondenti pensi che la tecnologia sia esente da controindicazioni, mentre quasi considerano la scienza in linea con le proprie aspettative di vita.
Essendo un atto di fede, la fiducia nella scienza e negli operatori di scienza è verosimilmente legata al sistema individuale di valori, e pertanto dipende soprattutto da fattori culturali e sociali e dalla progressiva riflessione sui fatti e sui rapporti sociali che uno attraversa nel corso della vita. Mentre la sufficienza con la quale le persone valutano le istituzioni è storica, potremmo cinicamente dire ineludibile, quella nei confronti degli scienziati merita un’attenta riflessione, perché gli scienziati sono quelli che realizzano non solo l’innovazione, ma anche la formazione al più alto livello.
Tra l’altro, non è azzardato congetturare che la carenza di fiducia sia la causa più probabile dei modesti risultati dell’orientamento scolastico, risultati che rendono poco remunerativo, in modo particolare in Italia, l’impegno nell’informare sulle plausibili relazioni tra i percorsi di formazione universitaria e la successiva valorizzazione della professionalità. Quindi, siccome la fiducia va creata prima di averne bisogno, è necessario che la società costruisca la fiducia tra gli scienziati e il resto del mondo.
La scienza non è per pochi eletti, è per tutti. I politici devono pertanto inventare vie nuove per connettere la pratica della scienza ai vari livelli dell’organizzazione sociale, fino al livello sovranazionale. È necessario inventare vie nuove perché quelle del passato non sembrano aver funzionato a dovere. Le sfide del futuro, dal cambiamento climatico al reperimento del cibo e dell’acqua per una popolazione mondiale in crescita, alle crisi politiche, economico-sociali, sanitarie e naturali sempre più frequenti, sono così importanti per l’umanità che non è più possibile procedere con l’inerzia del passato.
Gli scienziati dovrebbero essere elevati al rango di consulenti nelle commissioni parlamentari e in quelle istruttorie degli organi decisionali, al fine di informare le decisioni operative, ma anche, e non sarà problema da poco, ad imparare a comunicare con i non-addetti. Un altro momento rilevante è quello della comunicazione tra gli scienziati e i giornalisti, i quali ultimi devono imparare a configurarsi la scienza che sta dietro certe parole chiave prima di divulgarle. Non va escluso neppure che argomenti di scienza fondamentale siano inseriti nei curricula dei seminari teologici, così da indurre a riflettere su quanto scienza e fede sono compatibili.
Insomma, di lavoro da fare, se si vuole costruire, ce n’è un bel po’.
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