Nell’audizione del 27 luglio u.s. presso la commissione Lavoro della Camera, il Presidente dell’Istat ha presentato un importante resoconto delle analisi svolte sull’impatto della crisi Covid nel mondo del lavoro, che comprendono anche una valutazione del contributo offerto dai sostegni pubblici per contenere la crescita delle nuove disuguaglianze e della povertà.
La massa degli aiuti erogati dallo Stato verso le varie tipologie di imprese, lavoratori e famiglie, è stata imponente, circa 61 miliardi di euro. Una cifra che non ha precedenti, giustificata dalle origine extraeconomiche della crisi, in assenza della quale, soprattutto per la parte dedicata alle casse integrazioni, l’impatto sulle imprese e l’occupazione sarebbe stato devastante. Tuttavia, la combinazione del blocco dei licenziamenti e del massiccio utilizzo delle casse integrazioni non ha impedito gli effetti negativi nel mercato del lavoro rappresentato dalla perdita di 916 mila posti di lavoro. Tra i quali: 427 mila lavoratori autonomi, 160 mila stranieri, 400 mila donne, 2,2 milioni di giovani Neet che non studiano e non lavorano, rappresentano i profili emblematici di coloro che hanno subito le conseguenze più pesanti in termini di perdita di opportunità di lavoro e di reddito.
Secondo il nostro Istituto di statistica, il complesso degli interventi di sostegno al reddito ha consentito di ridurre di 1,6 punti il peggioramento dell’indice Gini, che misura la disuguaglianza nella distribuzione del reddito (dal 31,8% al 30,2%), e di 2,9 punti quello delle persone a rischio di impoverimento (da 19,1% a 16,2%), rispetto allo scenario che si sarebbe manifestato in assenza dei provvedimenti in questione. In particolare, le varie tipologie di cassa integrazione (ordinaria, straordinaria e in deroga) avrebbero contribuito per il 3,9% alla formazione del reddito medio delle famiglie, e un ulteriore 1,5% sarebbe derivato dall’insieme degli altri provvedimenti che comprendono il Reddito di cittadinanza, quello di emergenza e le varie tipologie di bonus per il sostegno dei lavoratori autonomi e delle famiglie.
L’insieme di questi contributi ha comportato una riduzione del rischio di impoverimento per il 6,5% dei disoccupati, per il 3,5% delle persone inattive e del 2,6% per i lavoratori autonomi.
Queste analisi sembrerebbero a prima vista confortare la tesi che, con diverse sfumature, appare dominante nel dibattito politico. Quella rivolta a caldeggiare l’opportunità di ampliare la disponibilità delle risorse pubbliche per sostenere la riduzione delle disuguaglianze e le misure di contrasto della povertà assoluta, che nel frattempo è aumentata di un ulteriore milione di unità, sino a raggiungere il massimo storico di 5,6 milioni di persone.
Il tema merita un approfondimento, dato che all’ordine del giorno del Parlamento si segnala una discreta mole di provvedimenti (l’assegno unico per i minori, le riforme del fisco e degli ammortizzatori sociali, i finanziamenti aggiuntivi per il Rdc…) che comportano l’impiego di decine di miliardi in questa direzione.
Nella sua relazione alla Camera dei deputati è lo stesso Presidente dell’Istat a sottolineare la necessità di leggere questi numeri nel contesto della crisi Covid, che ha generato un particolare effetto sull’andamento dei redditi delle famiglie e sui comportamenti dei consumatori. Grazie anche agli aiuti di Stato, i redditi delle famiglie sono diminuiti meno del Pil (-2,5% rispetto al -8,9%) e rimasti largamente al di sopra del crollo dei consumi (-10,9%) in buona parte obbligato per gli effetti dell’attuazione delle misure di contenimento dei contagi. Una differenza che si è tradotta in buona parte nell’aumento record dei depositi bancari.
La relazione tra le persone colpite negativamente dagli effetti della crisi, l’aumento delle disuguaglianze e della povertà è del tutto incerta. Per certi aspetti, vedi l’utilizzo delle casse integrazioni per oltre 6 milioni di lavoratori dipendenti, l’impoverimento relativo legato agli importi delle Cig inferiori ai salari medi e più vicine al valore dei salari medio bassi, ha contribuito a ridurre le disuguaglianze tra i redditi. Nel corso degli anni 2000 l’indice Gini che misura le disuguaglianze è rimasto sostanzialmente invariato in Italia, per effetto della stagnazione dei redditi e della produttività. Ma nel contempo è raddoppiato il numero delle persone povere.
In via generale, è del tutto ovvio che una forte iniezione di sostegni pubblici possa contribuire a migliorare le condizioni di reddito e a ridurre i rischi di impoverimento. Ma buona parte di questi provvedimenti, soprattutto quelli adottati in via straordinaria per contenere l’impatto sui posti di lavoro durante l’emergenza sanitaria, si proponeva principalmente l’obiettivo di salvaguardare la potenzialità di ripresa delle strutture produttive. E non a caso sono stati differenziati per questo scopo, non per contrastare la povertà.
Semmai sarebbe lecito comprendere le ragioni del perché, da oltre 10 anni, con due sole eccezioni, continua a crescere l’entità della spesa assistenziale e in parallelo anche il numero delle persone povere.
Diversi studi, tra cui due recenti prodotti da Itinerari Previdenziali e dalla Caritas, con approcci e metodologie diversi, convergono nel sottolineare che l’attuale strumento del Reddito di cittadinanza, per via dei criteri di selezione dei beneficiari, e di gestione del provvedimento, tende a beneficiare una quota significativa di persone che non sono povere, oltre un terzo dei tre milioni degli attuali percettori del Rdc, e nel contempo sottovaluta i sostegni per la quota delle famiglie numerose, dei minori a carico, dei nuclei familiari di origine straniera o che sono residenti nelle regioni del nord dove il costo della vita è più elevato.
Contrariamente a quanto si continua a propagandare, la spesa per i sostegni al reddito e quella dedicata all‘assistenza in Italia è al di sopra della media dei Paesi della vecchia Europa. Il nostro Paese non spende poco, spende male.
L’attuazione della legge delega del Family act potrebbe essere l’occasione per rivedere finalmente l’impianto delle misure assistenziali, superando la logica di quelle emergenziali destinata a disperdere le risorse per scopi elettorali.
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