Davvero interessante la recente ricerca Auser (curata da Claudio Falasca) Vivere la longevità. L’invecchiamento attivo nella transizione demografica per un welfare generativo, che approfondisce con grande ricchezza di dati un tema di crescente centralità nella società italiana (ma anche europea e mondiale, almeno per i Paesi più ricchi): quale ruolo per la popolazione anziana nell’attuale situazione demografica, sociale ed economica.
Il principale pregio del presente Report (che merita una lettura attenta, nelle sue oltre 180 pagine) è la capacità di tenere insieme le diverse dimensioni della condizione anziana, analizzandole sia rispetto allo scenario presente, sia nelle prospettive future.
Si parla così di pensionamento, di invecchiamento attivo, di promozione della salute e di sostegno alla vulnerabilità/non autosufficienza, di politiche pubbliche ma anche di comportamenti economici (“silver economy”, risparmi, consumi), all’interno di una prospettiva unitaria che rimanda al protagonismo delle persone over 65, considerate non “a fine corsa”, ma cittadini attivi, con risorse rilevanti per la propria vita individuale e nelle proprie relazioni familiari e sociali.
Interessante è anche la non marginale attenzione riservata all’intergenerazionalità, in linea con numerosi documenti internazionali (ampiamente analizzati nel documento Auser) che dal 1982 ad oggi hanno tentato di promuovere le persone anziane non “contro” le altre generazioni, ma nelle loro interazioni solidaristiche.
Insomma, per dirla con Papa Francesco, altro che “cultura dello scarto”: piuttosto l’anziano come preziosa e potente risorsa. Del resto anche nel recente CISF Family Report 2024, Case e città a misura di famiglia, emergeva l’insostituibile ruolo delle generazioni più anziane, che nel caso di acquisto della casa in oltre il 50% dei casi contribuiscono a sostenere il costo (totale o parziale) per i propri figli – e sotto i 35 anni la percentuale sale al 70% circa: praticamente un sistema informale di finanziamento familiare intergenerazionale “a tasso zero”, ben più generoso di quanto offerto dal sistema creditizio formale.
Proprio sull’intergenerazionalità ci permettiamo tuttavia di evidenziare una criticità sostanziale, che il report Auser forse non illumina sufficientemente, tutto orientato com’è – legittimamente – a rappresentare l’urgenza di politiche di promozione per gli anziani. Se infatti compariamo i dati economici per fasce di età, emergono delle polarizzazioni in cui la vulnerabilità più critica non riguarda tanto gli anziani, ma piuttosto le generazioni più giovani (sotto i 35 anni, in particolare).
Già nel 2020 il Centro Studi Confindustria evidenziava su dati Bankitalia uno squilibrio davvero notevole: “Gli over 65 si caratterizzano per: un consumo pro-capite medio annuo più elevato, 15,7mila euro (contro i 12,5 per gli under 35); un reddito medio più alto, 20mila euro (a fronte di 16mila degli under 35); una maggiore ricchezza reale pro-capite, 232mila euro (vs 110mila); una solidità finanziaria superiore, con 1 anziano su 10 indebitato (a fronte di quasi 1 su 3 tra gli under 40); un’incidenza della povertà inferiore della metà rispetto agli under 35 (13% vs 30%); una resilienza al ciclo economico in quanto il reddito medio annuo degli over 65, tra le diverse fasce d’età, è l’unico ad avere superato i livelli pre-crisi” (Nota del Centro Studi Confindustria N. 2, 5 febbraio 2020).
Si tratta di dati pre-pandemia (quando proprio i più anziani hanno purtroppo pagato un pesante tributo di vite), ma anche negli anni seguenti rimane questo squilibrio intergenerazionale, generatosi soprattutto negli ultimi trent’anni: nel 1990 infatti gli anziani (over 65) erano svantaggiati, disponevano di un reddito annuo medio procapite pari a 12.057 euro (a valori attuali), mentre i giovani (under 35) disponevano di 20.303 euro (oltre il 60% in più). Essere anziani significava quindi un rischio elevato di povertà.
Nel 2022 invece gli over 65 disponevano di 32.347 euro annui, mentre gli under 35 di 32.477 euro: il dato è praticamente uguale, il che significa aver pressoché colmato il gap di risorse tra giovani e anziani. Ma quello che più colpisce – e conferma la difficoltà dei più giovani – è il confronto tra i più giovani e chi è a fine carriera, che nel 1990 era praticamente uguale (20,190 euro), mentre nel 2022 il reddito annuale medio procapite tra 51 e 65 anni è pari a 43.559 euro (il 50% in più rispetto ai 32,477 euro degli under 35). Insomma, sono proprio le differenze di reddito tra le generazioni lavorative ad essere oggi molto più “diseguali”.
In effetti è significativo che questa analisi dei dati Bankitalia sia pubblicato sul sito skuola.net, più attento, inevitabilmente, alle esigenze delle generazioni più giovani. L’intergenerazionalità, quindi, è un nodo complesso, che va evidenziato con cura, per non innescare “conflitti intergenerazionali” rischiosi, sia a livello delle politiche macro-societarie che nelle micro-relazioni sociali.
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