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Home » OPIS » I NUMERI/ Se 1.030 euro al mese non bastano: tre criteri “raccontano” la povertà degli italiani

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I NUMERI/ Se 1.030 euro al mese non bastano: tre criteri “raccontano” la povertà degli italiani

Mariangela Zenga
Pubblicato 16 Maggio 2025
Istat (Twitter)

Istat (Twitter)

L’ISTAT ha pubblicato il report annuale delle condizioni di vita delle famiglie italiane: il 23,1% è a rischio povertà, soprattutto nel Mezzogiorno

Nel mese di marzo 2025, l’ISTAT ha pubblicato il report annuale relativo alle condizioni di vita e di reddito delle famiglie italiane, elaborato sulla base dei dati raccolti tra gennaio e maggio 2024, con riferimento alla situazione economica del periodo 2023/2024.

Le informazioni diffuse derivano dall’indagine EU-SILC (European Union Statistics on Income and Living Conditions, ovvero Statistiche dell’Unione Europea su reddito e condizioni di vita), una delle principali fonti statistiche europee per misurare il benessere delle famiglie nei diversi Paesi membri.


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Coordinata da Eurostat, EU-SILC ha l’obiettivo di raccogliere dati comparabili su aspetti fondamentali della vita quotidiana: il livello di reddito delle famiglie, le caratteristiche dell’abitazione, l’accesso ai servizi, la capacità di sostenere determinate spese, l’intensità lavorativa e le condizioni occupazionali complessive. In Italia, l’indagine è realizzata ogni anno dall’ISTAT.


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Nell’edizione 2024, il campione ha coinvolto 31.790 famiglie, per un totale di 62.954 individui, residenti in circa 850 comuni. La selezione del campione avviene secondo rigorosi criteri statistici per garantire la rappresentatività della popolazione italiana. La raccolta dei dati si svolge attraverso interviste a domicilio assistite da computer (CAPI) oppure interviste telefoniche (CATI).

Sebbene siano rilevati tutti i membri delle famiglie, le interviste dirette vengono effettuate con le persone di età pari o superiore a 16 anni. Una volta raccolti, i dati vengono integrati con informazioni amministrative provenienti da fonti ufficiali, come l’INPS o l’Agenzia delle Entrate, allo scopo di rafforzare l’accuratezza delle stime. Il risultato è una fotografia dettagliata e aggiornata della realtà economica e sociale del Paese, utile a orientare le decisioni politiche e gli interventi di welfare.


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Secondo l’ISTAT, nel 2024 quasi un italiano su 4 si è trovato in condizioni di vulnerabilità economica. Più precisamente, il 23,1% della popolazione, pari a circa 13,5 milioni di persone, rientrava nella categoria definita come “a rischio di povertà o esclusione sociale”. Si tratta di una classificazione stabilita a livello europeo, che si basa su tre criteri distinti ma interconnessi, ognuno dei quali descrive una forma specifica di disagio economico o sociale.

– Il primo criterio riguarda il rischio di povertà economica, ossia la condizione in cui il reddito netto equivalente di una famiglia (cioè, corretto in base al numero e alla composizione dei componenti) risulta inferiore al 60% del reddito mediano nazionale. Nel 2024 (considerando il reddito dell’anno precedente), questa soglia è stata fissata a 12.363 euro annui per una persona sola, corrispondenti a circa 1.030 euro al mese.

– Il secondo criterio fa riferimento alla grave deprivazione materiale e sociale, che si verifica quando una persona sperimenta almeno sette segnali di disagio tra quelli previsti da una lista di tredici. Questi segnali comprendono, tra gli altri, ad esempio, l’impossibilità di affrontare spese impreviste, di riscaldare adeguatamente la casa, di sostenere una vacanza annuale, di permettersi un pasto proteico ogni due giorni, oppure l’assenza di connessione internet domestica o la rinuncia a momenti di socialità per motivi economici.

– Infine, il terzo criterio riguarda la bassa intensità di lavoro all’interno del nucleo familiare. In questo caso, si fa riferimento alle famiglie in cui gli adulti tra i 18 e i 64 anni hanno lavorato, nel corso dell’anno precedente, meno del 20% del tempo teoricamente disponibile. Sono escluse dal calcolo alcune categorie, come studenti, pensionati e inattivi in condizioni particolari.

Secondo l’approccio adottato, una persona o una famiglia viene considerata a rischio di povertà o esclusione sociale quando si verifica almeno una di queste tre condizioni. Questo approccio consente di superare la sola povertà monetaria, includendo anche la difficoltà nell’accesso a beni e servizi essenziali e una limitata partecipazione al mercato del lavoro.

La quota di popolazione che si trovava in almeno una delle tre condizioni di rischio considerate dall’indicatore mostra delle differenze a livello geografico: nel Nord-Est questa era pari all’11,2%, mentre nel Mezzogiorno raggiungeva il 39,2%, ovvero oltre un terzo della popolazione residente in quell’area. Questo divario territoriale evidenzia ancora una volta la marcata diseguaglianza nel disagio economico e sociale sul territorio nazionale, con una forte concentrazione nelle regioni meridionali, dove incidono fattori come la minore partecipazione al mercato del lavoro, livelli occupazionali più bassi e redditi medi inferiori.

Anche la composizione familiare rappresenta un fattore rilevante nel determinare il rischio di povertà o esclusione sociale. Le famiglie numerose, in particolare quelle composte da coppie con tre o più figli, presentano un’incidenza del rischio pari al 34,8%.

Un’incidenza analoga si riscontra nei nuclei monogenitoriali, dove la persona di riferimento vive con uno o più figli senza il supporto di un secondo adulto. In questi casi, il tasso di rischio si attesta al 32,1%, a conferma del fatto che le famiglie con una struttura più fragile o con un carico familiare elevato risultano più esposte a condizioni di vulnerabilità economica.

Consideriamo ora i tre indicatori separatamente.

Nel 2024, l’indicatore del rischio di povertà economica si attesta a livello nazionale al 18,9%, con forti variazioni territoriali e strutturali. Nel Mezzogiorno la quota raggiunge il 32,2%, mentre nel Nord-Est si ferma all’8,8%. Il rischio aumenta tra le famiglie con almeno un componente straniero (31,3%), tra i nuclei monogenitoriali (23,6%) e tra quelli con tre o più figli (30,9%).

La grave deprivazione materiale e sociale coinvolge il 4,6% della popolazione italiana. Anche in questo caso, le differenze territoriali sono marcate: nel Mezzogiorno l’incidenza arriva al 10,1%, contro l’1,3% nel Nord-Est. Le famiglie con cinque o più componenti (8,3%), quelle con tre o più minori (10,4%) e le famiglie con almeno un componente non italiano (10,4%) mostrano livelli di deprivazione superiori alla media.

Per quanto riguarda la bassa intensità lavorativa, il dato nazionale è pari al 9,2%, con una forbice territoriale che va dal 3,6% nel Nord-Ovest al 16,9% nel Mezzogiorno. La condizione è più frequente tra le famiglie con un solo percettore di reddito (17,6%), nei nuclei monogenitoriali (19,5%) e tra le famiglie con tre o più figli (8,8%). Anche le famiglie con almeno un minore presentano un’incidenza superiore alla media, pari al 6,3%.

La Figura 1 riporta il rischio di povertà o di esclusione sociale e le sue componenti, vale a dire: il rischio di povertà, la grave deprivazione materiale e sociale e la bassa intensità lavorativa per differenti gruppi socio-demografici dei residenti italiani (Anno 2024).

Figura 1: Rischio di povertà o di esclusione sociale, Rischio di povertà, Grave deprivazione materiale e sociale e Bassa intensità lavorativa per categorie di residenti italiani (Anno 2024).

Nel complesso, l’approccio multidimensionale adottato nell’indagine EU-SILC, e rilevata da ISTAT, rappresenta un importante strumento per comprendere la varietà delle condizioni economiche e sociali delle famiglie italiane. La combinazione di indicatori legati al reddito, alla deprivazione e alla partecipazione al mercato del lavoro consente di cogliere sfaccettature che sfuggirebbero a una lettura basata solo sulla povertà monetaria.

Tuttavia, affinché questi strumenti possano essere davvero utili al processo decisionale, è necessario considerare con attenzione i loro limiti. L’indicatore di povertà relativa, ad esempio, misura la posizione di una famiglia rispetto alla distribuzione del reddito nazionale, ma non sempre riflette la reale capacità di far fronte ai bisogni essenziali. Anche l’indicatore di grave deprivazione, pur utile, risulta spesso poco reattivo ai cambiamenti economici, con il rischio di non cogliere tempestivamente gli effetti di nuove politiche.

Per questo, accanto alla rilevazione statistica, è auspicabile un lavoro di raccordo più stretto con la programmazione delle politiche pubbliche. Gli indicatori dovrebbero contribuire in modo più diretto alla definizione delle priorità, alla ripartizione delle risorse e alla valutazione degli interventi. Solo così la misurazione della povertà potrà trasformarsi in uno strumento operativo e non rimanere confinata in un esercizio di pura analisi.

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