La pandemia da Covid-19 è stata un trauma sociale di notevoli dimensioni. L’effetto più vistoso è stato quello sanitario, causato dal coronavirus che, nel mondo, ha portato milioni di persone a farsi curare per malattie polmonari e molte sono morte. Al problema del virus si sono aggiunti i provvedimenti pubblici finalizzati a combattere il contagio, tra i quali l’isolamento prolungato in casa (lockdown), il ricorso a forme di lavoro e insegnamento a distanza e il ricorso a una pluralità di vaccinazioni volte ad immunizzare la popolazione.
L’isolamento sociale, unito alla paura del virus, ha dato origine ad una quantità di malattie psichiche che hanno colpito prevalentemente la popolazione più giovane. Alcune indagini svolte con test clinici sulla popolazione generale hanno accertato, a pandemia ufficialmente chiusa, una frequenza di casi di depressione grave nella popolazione giovanile superiore al 20% e, tra alcune categorie, persino superiore al 25%.
Poiché, a memoria d’uomo, non si erano verificate esperienze analoghe sia di diffusione generalizzata di un virus, sia di provvedimenti drastici come i lockdown e le vaccinazioni di massa, la pandemia ha indotto la gente a trovare alternative alle modalità fino a poco prima usuali di esercizio delle attività quotidiane impedite, tra le quali: acquistare online, comunicare solo a distanza, scambiarsi informazioni attraverso i social media, porre nuova attenzione ai rapporti interpersonali, in modo particolare a quelli centrati sulla famiglia e sulla comunità locale, cucinarsi i cibi in casa, fare bricolage per ogni tipo di bisogno, usando estensivamente i mezzi di trasporto privato.
Nel 2022, a pandemia ufficialmente chiusa, un gruppo di studiosi delle università di Padova, Bari, Chieti-Pescara, Napoli e Torino si è posto il problema di capire se e come la pandemia avesse cambiato la mentalità della popolazione italiana, preparandola ad affrontare altri shock sociali.
Per questo, il gruppo organizzò un’indagine sulla popolazione volta ad evidenziare se i comportamenti quotidiani indotti dalla pandemia – apparentemente più virtuosi – erano destinati a cambiare appena questa fosse dietro le spalle, o se, al contrario, la riflessione indotta dalla pandemia aveva orientato la gente verso uno stile di vita più sobrio, salubre e rispettoso dell’ambiente naturale e delle relazioni tra persone.
Una seconda indagine è stata svolta a due anni dalla prima, con gli stessi metodi di ricerca, per verificare se si erano verificati dei cambiamenti a distanza di tempo.
Nella Tabella 1 si riporta una sintesi dei risultati delle due indagini sulla popolazione di giovani adulti (età: 18-34 anni). La prima colonna di numeri contiene la percentuale di giovani che, nel 2022, hanno affermato di avere una data abitudine e la seconda la quota di rispondenti propensi a modificare l’abitudine nel breve periodo. La terza colonna riporta la frequenza delle abitudini registrate nell’indagine del 2024 e la quarta colonna la parte di rispondenti che, nel 2024, afferma di averle iniziate durante la pandemia.
Tabella 1 . Frequenza percentuale dei comportamenti quotidiani dei giovani adulti italiani nel 2022 e nel 2024, propensione percentuale a cambiare a pandemia finita (nel 2022) e percentuale di comportamenti iniziati durante la pandemia (rilevati nel 2024). NR = Non rilevato.
Si vede immediatamente che le abitudini rese coercitive dalla paura del contagio da Covid sono scomparse quasi del tutto appena il rischio del contagio è diventato trascurabile. A due anni dalla fine della pandemia è del tutto scomparso il saluto con il gomito o con il pugno e sono stati restaurati la stretta di mano ei due baci sulla guancia di stampo mediterraneo. Anche l’indossare i guanti sui mezzi di trasporto e per condurre il carrello della spesa al supermercato, che era una prassi adottata verso la fine della pandemia dal 45% dei giovani, si è ridotta dopo due anni al 16%.
Sono diminuiti della stessa percentuale con cui erano aumentati durante il Covid i buoni propositi dello slow-food e del fai-da-te domestico, anche se permane una tendenza all’aumento in linea con le abitudini pre-Covid. Nel 2024, la propensione a cucinare per sé o per la famiglia è all’80%, il bricolage è al 36%, la capacità di farsi il pane in casa è al 28% e la coltivazione artigianale di verdure o erbe aromatiche è al 27%. Si può notare (Tabella 2) che si tratta di abitudini più frequentemente femminili, anche nel bricolage le ragazze mostrano una maggiore propensione a fare rispetto ai maschi.
Tabella 2 . Frequenza percentuale dei comportamenti quotidiani dei giovani adulti italiani nel 2024 e percentuale di comportamenti iniziati durante la pandemia.
Tra le abitudini a cui la pandemia ha dato un chiaro impulso, ci sono quelle igieniche. Queste erano per molti italiani prassi iniziate ben prima del Covid, diventate più strette durante il periodo di rischio di contagio e destinate a consolidarsi ulteriormente. I dati rilevati mostrano che sono frequenti il recarsi a fare il vaccino anti-influenzale prima dell’inverno (+11% durante la pandemia, attualmente al 24%), il bere acqua da bottiglie invece che dal rubinetto (+6%, attualmente al 59%), il togliersi le scarpe sulla porta di casa (+13%, attualmente al 62%), e il lavarsi spesso le mani (+31%, attualmente all’85%).
Si può osservare che questi cambiamenti non differiscono in modo significativo né per genere, né per istruzione, né per regione di residenza dei giovani che hanno risposto al questionario.
Pertanto, sull’onda emotiva del rischio di contagio da coronavirus, il timore di contatto con altri vettori di rischio ha indotto e sta ulteriormente inducendo quote crescenti di popolazione a darsi delle norme igieniche più strette rispetto al periodo pre-Covid ea ricorrere più frequentemente alla vaccinazione preventiva contro possibili attacchi da parte dello stesso o di altri virus.
Evidenziamo, infine, come è cambiata rispetto al periodo pandemico l’abitudine all’uso dei mezzi di trasporto privato. L’abitudine all’uso dell’auto propria rispetto al mezzo pubblico non è cambiata di molto né rispetto al periodo pre-Covid, né rispetto a quello del Covid, anche in considerazione del fatto che il mezzo privato è stato percepito durante la pandemia come igienicamente più sicuro del mezzo pubblico.
La bicicletta è stata, invece, concepita come un modo alternativo per svagarsi, uscendo da casa in relativa sicurezza su percorsi di medio raggio (+7%). Infatti, i dati raccolti con l’indagine del 2024 mostrano che appena le persone hanno avuto la possibilità di muoversi con mezzi diversi dalla bicicletta le cose sono cambiate radicalmente: dal 51% di lavoro durante il Covid al 27% di due anni dopo.
Invece, è aumentato e sta ancora aumentando l’impiego del monopattino elettrico, che era utilizzato dalla percentuale attesa di giovani prima della pandemia (tra il 2 e il 3%), è passato al 9% durante gli anni della pandemia ed è attualmente sopra il 20%.
Se fosse lecito giustapporre la crescita nell’uso del monopattino con la decisione in quello della bicicletta, si direbbe che la gente ha scelto la soluzione meno faticosa. Tuttavia, il confronto non è del tutto valido. Infatti, è noto che la bicicletta tradizionale e il monopattino sono utilizzati da categorie di persone differenti e in contesti differenti. Quindi, il calo drastico nell’impiego della bicicletta per percorsi di medio raggio, più che una promessa disattesa, fotografa un modo di usare il tempo libero che oggi ha un significato diverso da quello dei tempi del Covid.
I comparti nei quali la pandemia ha imposto una forte e generalizzata accelerazione sono quelli dell’acquisizione di idonea strumentazione informatica e della comunicazione in rete. Durante la pandemia tutti, anche chi ne era refrattario, ha dovuto comunicare da casa con colleghi, parenti, amici e organizzazioni.
Per due persone su tre il lavoro durante la pandemia era a distanza; per tutti gli studenti, da un certo momento in poi, le lezioni erano registrate e gli esami online; le riunioni di lavoro ei seminari di studio erano svolti nella forma di conferenze collettive tramite computer o cellulare; i comuni e le aziende sanitarie consegnavano documenti in formato elettronico; le notizie sul virus erano diffuse a ciclo continuo dai social media in concorrenza con le televisioni. Un nuovo vocabolo sintetizza quei tempi di grande cambiamento: Zoom , simbolo della velocità e dell’innovazione nel comunicare.
Non meraviglia, quindi, che gli acquisti online e la consultazione di banche-dati da remoto abbiano avuto l’impulso che si nota nella Tabella 1. L’home banking è salito al 57% (+13%) e l’acquisto di medicinali via internet è raddoppiato dal 12 al 25%.
Vale la pena ribadire che l’e-commerce non riguarda solo le medicine, ma è una tendenza – iniziata prima della pandemia, che ha registrato un grande balzo verso l’alto quando non c’era alternativa e che continua a crescere anche dopo la pandemia – che riguarda praticamente ogni bene e servizio.
L’aumento degli acquisti online e dell’accesso individuale a banche dati remote fa parte di un processo evolutivo che sta cambiando il mondo del lavoro e della produzione di beni e servizi, quello dell’apprendimento e dello sviluppo scientifico, quello della partecipazione sociale, in breve l’intera organizzazione sociale. Da questo punto di vista, la pandemia ha accelerato lo sviluppo sociale.
Nel pensiero comune, la pandemia è stata uno shock sociale di enorme portata. Le persone percepiscono un “prima” e un “dopo” la pandemia: ne ha alterato lo stile di vita, le ha indotte a fare un reset delle priorità esistenziali e ad immaginare che cosa potrebbe fare, individualmente e collettivamente, per limitare il rischio che si ripeta una catastrofe sanitaria così grave e, qualora si ripeta, che cosa potrebbe fare per circoscriverne gli effetti. È diventata un’occasione per le persone per riflettere sul futuro proprio e delle collettività. Insomma, non tutto il male è venuto per nuocere.
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