Quando un cittadino accede ad un reparto di pronto soccorso (PS) gli viene attribuito un codice colore in base ad una prima valutazione che fa chi lo accoglie (triage). Si tratta di un codice di priorità di cinque categorie col seguente significato: Codice 1: rosso – emergenza: presa in carico immediata per grave compromissione delle funzioni vitali (accesso immediato a cure e trattamento); Codice 2: arancione – urgenza: presa in carico in tempi brevissimi per rischio elevato di compromissione delle funzioni vitali (accesso rapido, entro 15 minuti, a cure e trattamento); Codice 3: azzurro – urgenza differibile: condizione stabile senza rischio evolutivo, con sofferenza (accesso in tempi brevi, entro 60 min: codice che fino a qualche anno fa non era previsto); Codice 4: verde – urgenza minore: condizione stabile, senza rischio evolutivo, percorso diagnostico terapeutico solitamente semplice/monospecialistico (accesso entro 120 min); Codice 5: bianco – non urgenza: condizione stabile di minima rilevanza clinica, risolvibile dal medico di medicina generale, o dallo specialista, in ambulatorio (accesso entro 240 min).
Terminato il percorso di cura in PS, allo stesso cittadino viene assegnato un “codice d’uscita” (stesso schema di quello all’entrata) e nel caso che il codice sia di non urgenza (codice bianco) il cittadino che non gode di qualche tipo di esenzione è tenuto al pagamento di un ticket.
Secondo le informazioni raccolte da AGENAS (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali) e pubblicate sul suo portale statistico, nell’anno 2022 in Italia ci sono stati quasi 11 milioni di accessi nei pronto soccorso degli ospedali pubblici o accreditati, corrispondenti a 18,48 accessi ogni 100 abitanti, con frequenze regionali che vedono la PA di Bolzano mostrare il numero più elevato di accessi ogni 100 abitanti (39,90), seguita dalla Valle d’Aosta (34,02) e dall’Umbria (25,88), mentre sul versante opposto gli accessi minori si osservano in Sardegna (5,11), Toscana (8,40) e Calabria (9,64).
A queste eterogeneità territoriali negli accessi partecipano tanti fattori: una offerta distribuita disomogeneamente; una diversa completezza nella raccolta dei dati che arrivano ad AGENAS; un differente rapporto che esiste a livello delle singole regioni tra tipologie di assistenza (ospedale vs territorio); politiche sanitarie tese a disincentivare l’uso del PS per superare criticità che a volte interessano queste strutture (incidenti, scarsità di personale, …); ma anche atteggiamenti opportunistici da parte dei cittadini per aggirare le ristrettezze legate ai lunghi tempi di attesa per accedere alle prestazioni ambulatoriali.
L’eterogeneità territoriale non riguarda solo la frequenza complessiva degli accessi ai PS ma arriva ad interessare anche la frequenza relativa con cui vengono assegnati i codici di priorità, cioè di urgenza: dall’emergenza (priorità massima) alla non urgenza (priorità minima).
La Tabella 1 mostra le percentuali di codici bianchi, codici verdi e altri codici segnalati per regione negli anni 2022 e 2023. Per tutti i tipi di codici (dove la categoria “altri” mette insieme i livelli di priorità più elevati: azzurro, arancione, rosso) le regioni che registrano i valori più elevati (o più bassi) in entrambe le annate sono quasi sempre le stesse, segno che le differenze regionali (anche se qualche regione registra significativi cambiamenti tra i due anni) non sono occasionali e legate all’anno di rilevazione, ma rappresentano con molta probabilità un fenomeno strutturale e caratteristico per quella regione.
Tabella 1. Percentuale di codici bianchi, codici verdi e altri codici, per Regione. Anni 2022 e 2023. In rosso i valori più elevati, in verde i valori più bassi. Fonte: Agenas.
Se in Toscana (76,9% e 54,7%) e Lazio (57,8% e 57,7%) gli accessi con le priorità maggiori (azzurro, arancione, rosso) superano il 50% degli accessi totali sia nel 2022 che nel 2023, in Valle d’Aosta (4,8% e 10,4%), Lombardia (15,5% e 24,7%) e Umbria (17,4% e 22,3%) le priorità maggiori sono riscontrate solo in meno di un quarto degli accessi.
I codici verdi rappresentano la percentuale maggiore degli accessi nella maggioranza delle regioni, con punte che nel 2022 hanno superato il 70% (Valle d’Aosta, Lombardia, PA Bolzano, Umbria), valore invece mai raggiunto nel 2023.
Di particolare interesse sono i codici bianchi perché sono l’unica tipologia di codice di priorità (PA Trento e Sardegna escluse) per il quale è previsto il pagamento di un ticket, ma questo pagamento segue modalità e regole che sono diverse tra le differenti regioni: 25 euro (Valle d’Aosta, Piemonte, Lombardia, Friuli VG, Marche, Umbria, Lazio, Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Sicilia e Sardegna); 25 euro + alcuni euro per le prestazioni erogate (con massimali diversi: 61,15 euro in Liguria; 75 euro in PA Trento; 36,15 euro in Emilia-Romagna e Puglia; 45 euro in Calabria); 25 euro in Veneto (più il ticket per le prestazioni); 50 euro nella provincia autonoma di Bolzano (max 100 euro con prestazioni); max 50 euro in Toscana (più 10 euro per la digitalizzazione). Mentre in tutte le regioni si paga il ticket in PS solo per gli accessi alla cui dimissione viene attribuito un codice bianco, nella PA di Trento ed in Sardegna si paga il ticket anche per prestazioni eseguite per accessi alla cui dimissione viene attribuito il codice verde.
La figura 1 mostra la percentuale di accessi con codice bianco nelle diverse regioni per gli anni 2022 e 2023. Spicca, per il valore straordinariamente elevato (oltre il 50% degli accessi totali), il caso della Regione Veneto in entrambe le annate (53,8% e 55,0%), seguita da Friuli Venezia Giulia (19,5% e 17,5%) ed Emilia Romagna (14,8% e 13,1%) [i piccoli numeri della Valle d’Aosta sono all’origine delle marcate differenze tra i valori delle due annate]. Sul versante delle frequenze più basse si trovano Molise (2,0% e 3,3%) e Lazio (2,2% e 3,0%).
Figura 1. Percentuale di codici bianchi, per Regione. Anni 2022 e 2023. Fonte: Agenas.
Risulta difficile ipotizzare che ci siano motivazioni sanitarie alla base di queste differenze: sembra più ragionevole pensare che la loro origine vada ritrovata in indicazioni specifiche fornite dalle singole regioni alle proprie strutture relativamente alle modalità con cui deve essere interpretata la condizione di urgenza, ed in particolare la differenza tra “urgenza minore” (codice verde: condizione stabile, senza rischio evolutivo, percorso diagnostico terapeutico solitamente semplice/monospecialistico) e “non urgenza” (codice bianco: condizione stabile di minima rilevanza clinica, risolvibile dal medico di medicina generale, o dallo specialista, in ambulatorio), cioè le due classi di priorità più vicine alla linea che separa l’accesso gratuito (codice verde) dall’accesso con ticket (codice bianco).
Ne consegue che, di fatto, l’accesso al livello essenziale di assistenza costituito dal Pronto Soccorso genera disuguaglianze evidenti ed inique per la popolazione, perché cittadini con lo stesso (apparente) bisogno tradotto dal codice bianco si trovano a dover contribuire economicamente in maniera sostanzialmente differente a seconda della regione dove avviene l’accesso alla struttura ospedaliera. Per altro, non sembra che la diversa frequenza relativa di codici bianchi nelle regioni sia legata a importi di ticket più leggeri (cioè più codici bianchi dove il ticket è minore) o più pesanti (meno codici bianchi dove il ticket è maggiore).
Il significato di questa jungla dei ticket in termini di iniquità e disuguaglianze è evidente, ma il suo rilievo a livello economico globale è molto scarso: infatti, la raccolta complessiva dei ticket del PS a livello nazionale non arriva a 35 milioni di euro (dati Agenas 2022: era circa 45 milioni prima della pandemia), quasi 15 dei quali raccolti dal solo Veneto, e rappresenta circa il 2% di tutti i ticket sanitari (farmaceutica esclusa).
L’esigenza di governare gli accessi impropri (codici bianchi) al PS, ed anche quella di limitare gli accessi in codice verde, è un obiettivo che ogni servizio sanitario regionale si deve porre: il quesito che si apre è se il raggiungimento di tale obiettivo debba passare attraverso un’azione iniqua e disuguale come è oggi la politica di compartecipazione oppure se si debba pensare ad altre strade.
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