Le indagini della Caritas e dell'Istat sulla povertà e i consumi delle famiglie hanno avuto anche letture politiche
Due recenti indagini rimettono importanti temi sociali al centro del dibattito italiano. La prima è stata presentata ieri dalla Caritas e riguarda le politiche del Governo di contrasto alla povertà. L’organismo della Cei premette prudentemente che “la povertà ha molte dimensioni – economica, lavorativa, abitativa, familiare, sanitaria e psicologica. – e non ha cause né soluzioni semplici”. Ma poi si dimostra assai critico verso gli strumenti messi in campo dal Governo, a cominciare dall’Assegno di inclusione, che ha sostituito il Reddito di cittadinanza, del quale comunque si riconoscono i limiti. Sicuramente il corposo documento della Caritas provocherà reazioni, da una parte e dall’altra.
Il secondo documento è un report dell’Istat sui consumi delle famiglie italiane nel 2024, presentato l’altro ieri. Come sempre, le statistiche vanno interpretate. I fattori in gioco sono molti: ad esempio la situazione internazionale, l’inflazione, le differenze tra regioni. Una chiave di lettura la fornisce lo stesso comunicato stampa dell’Istituto, che titola: “stabile la spesa per consumi delle famiglie, una su tre limita la spesa alimentare”. Commentatori di parti politiche avverse leggono il report in modo opposto. Se ci si ferma sulla prima parte del titolo sembra che tutto sommato il Paese tenga, se si sottolinea la seconda parte il Paese sta scivolando verso un generale impoverimento, e questo ovviamente sarebbe colpa del Governo in carica.

Al di là delle interpretazioni strumentali, come certificato da molte ricerche, ultima ancora quella dell’Istat dell’ottobre 2024, è vero che in Italia ci sono 5,7 milioni di individui a rischio di povertà assoluta, cioè sotto una soglia di vita dignitosa. Di questi 1,25 milioni sono minori e il 35% sono stranieri (contro il 7% di italiani). La forbice del benessere si allarga sempre di più e travolge i nuovi proletari di oggi, che sono gli immigrati.
Tutto ciò è drammatico. Ma se, come certifica il report, sembra che la spesa media mensile delle famiglie sia intorno ai 2.755 euro, che aumenti nominalmente di qualche decina di euro o realmente diminuisca un po’ a causa dell’erosione inflattiva, per la media della popolazione italiana usare la parola povertà e parlare di impoverimento generale è fuori luogo.
Proprio prendendo spunto dal report dell’Istat, Mattia Feltri, su La Stampa di ieri, suggerisce un’ulteriore considerazione. A margine dell’analisi delle tendenze dei consumi alimentari, Feltri ricorda lo scandalo degli sprechi del cibo. È un tema importante, al pari se non più di quelli sollevati dalle due recenti indagini. Era presente già in Giovanni Paolo II, che nel 1992 alla Conferenza mondiale sulla nutrizione parlò del “paradosso dell’abbondanza”: le risorse alimentari ci sarebbero per tutti, ma le calamità provocate dall’uomo e “le esigenze egoistiche degli attuali modelli economici” lo impediscono.
Ma su questo tema ha insistito soprattutto papa Francesco, affermando ad esempio che “il cibo che buttiamo nella spazzatura lo strappiamo ingiustamente dalle mani di quanti ne sono privi. Di quanti hanno diritto al pane quotidiano in virtù della loro inviolabile dignità umana”. Com’è evidente, questa impostazione coinvolge in prima persona tutti e non solo i responsabili dei Governi.
Oggi sembrano infittirsi le voci critiche, ma vigliaccamente postume, su Bergoglio. Ma il merito storico di aver denunciato certe ingiustizie, provocato le coscienze di laici e cristiani e richiamato alla responsabilità di ciascuno, non può essere dimenticato.
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