“Spero che quando tutto questo finirà, troverete la pace, Edmond”, “Anch’io”. La genialità dell’arte si rivela in particolare quando essa è capace di suscitare domande potenti. È questa la caratteristica delle grandi opere, quale è sicuramente “Il Conte di Montecristo”, romanzo di Dumas padre pubblicato tra il 1844 e il 1846, e in queste settimane portato in TV dalla Rai.
Lo sceneggiato Il Conte di Montecristo, ottimamente scritto e recitato tanto da far registrare importanti numeri a livello di ascolti, racconta la storia di Edmond Dantès, prima giovane marinaio promesso sposo della bella Mercedes, poi detenuto ingiustamente accusato di essere un bonapartista e spedito senza processo in una prigione di massima sicurezza per 15 anni, infine, divenuto ricco grazie a un tesoro misterioso, Conte di Montecristo che porta avanti in maniera chirurgica la sua vendetta nei confronti dei tre uomini che lo hanno incastrato.
La genialità di un’opera Il Conte di Montecristo più che nelle risposte che offre, sta soprattutto nelle domande che pone. “Il Conte di Montecristo”, mediante una trama avvincente, mette a tema questioni brucianti che riguardano la giustizia, il perdono, la Provvidenza, l’amore e in ultima analisi la felicità e il senso stesso dell’esistenza.
In uno dei dialoghi più significativi deI film Il Conte di Montecristo, Edmond, da poco evaso dalla terribile prigione, si reca da un sacerdote per la confessione, esplicitando il suo piano, che sarebbe stato quello di vendicare l’ingiustizia subita. Il sacerdote propone a Edmond di perdonare, afferma che la vendetta non avrebbe portato da nessuna parte e anzi avrebbe costituito un male innanzitutto per lui stesso.
Edmond, ferito e addolorato, non accetta di seguire questo consiglio, in fondo perché non crede nella giustizia divina, ma in quella umana. È lui stesso ad affermarlo, in un altro dialogo importante, quando, ormai Il Conte di Montecristo, davanti a coloro che lo hanno incastrato, dice di credere nella Provvidenza, che definisce come “il Destino che garantisce la giustizia”, ma afferma anche che laddove non dovesse arrivare la provvidenza divina, spetta all’uomo portare la giustizia.
In fondo Edmond è questo, un giustiziere che premia le persone che lo hanno aiutato e che lo servono e punisce uomini cattivi che nella loro vita si sono comportati in maniera malvagia e non soltanto con lui.
Viene in mente la grande opera di un altro scrittore francese, “I Miserabili” di Victor Hugo, pubblicata meno di vent’anni dopo. Anche Jean Valjean ha subito lunghi e duri anni di prigionia, e quando ritorna nella società, lo fa portandosi dentro un carico di odio. Ma accade un imprevisto, perché la sua anima viene, per così dire, conquistata dal Vescovo Myriel quando egli lo giustifica del furto subito affermando che l’argenteria trovata in possesso di Valjean era in realtà un dono. A seguito di questo gesto, Valjean si convertirà e dedicherà la propria vita a opere di carità.
In fondo, questi due romanzi ci testimoniano che la giustizia umana, ben che vada, è un bilanciamento, e non tra il bene e il male, ma tra il male fatto e il male subito. Il perdono, invece, è un’altra misura, divina più che umana. Infatti, si legge nel Vangelo: “Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano. A chi ti percuote sulla guancia, porgi anche l’altra […]. Ciò che volete gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro. Se amate quelli che vi amano, che merito ne avrete? Anche i peccatori fanno lo stesso.
E se fate del bene a coloro che vi fanno del bene, che merito ne avrete? Anche i peccatori fanno lo stesso. […] Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e il vostro premio sarà grande e sarete figli dell’Altissimo; […]. Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro”.
“Ciò che volete gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro” è l’esatto opposto della vendetta, della legge del taglione, cioè di ciò che mette in atto l’eroe tragico Edmond Dantès.
Vedendo le tristi scene finali dello sceneggiato Il Conte di Montecristo, viene infatti da domandarsi: cosa ha guadagnato Edmond? È riuscito a ottenere la pace che cerca? E qual è lo scopo della sua vita ora che ha portato a compimento la sua opera? L’ultima frase, pronunciata da Mercedes, cerca faticosamente di aprire uno squarcio di bene e di positività: “L’amore può guarire”.
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