Non c’è un solo settore industriale che sia stato fatto oggetto delle attenzioni politiche negli ultimi mesi quanto il comparto auto. Dagli Stati Uniti fino all’Europa all’ordine del giorno ci sono i possibili provvedimenti pubblici a sostegno del settore che si appresta ad affrontare una delle crisi più gravi della sua storia.
A ben vedere le preoccupazioni di politici e imprenditori hanno più di una valida ragione. Nonostante gli investimenti e i progressi tecnologici, la varietà di modelli e di costo, l’acquisto di un’auto è in molti casi un acquisto emozionale e spesso non è dettato da una reale necessità di dismettere il veicolo già posseduto (perché si è rotto o perché inefficiente).
Ciò rende la spesa per auto nuove altamente discrezionale e questo, unito alla consistente somma necessaria, si traduce in un’estrema sensibilità delle vendite auto al ciclo economico. Soprattutto nell’attuale contesto il cambio dell’auto è (dove possibile) una delle primissime spese a essere tagliate o rinviate da imprese e consumatori.
Il settore auto lavora su margini bassi, è uno dei più competitivi in assoluto e richiede un alto livello di investimenti in tecnologia; un calo delle vendite manda immediatamente in sofferenza il comparto, in particolare il segmento di gamma medio-bassa. Infine, ed è decisamente il maggiore motivo di preoccupazione, il numero di occupati del settore auto è di gran lunga il più alto rispetto a qualsiasi altro settore preso singolarmente e una sua crisi ha effetti su moltissime famiglie, con le ovvie conseguenze sulle economie nazionali.
Negli ultimi giorni è stata un’intervista a Marchionne ad accendere ancora di più il dibattito europeo. In veste di guru dell’auto l’ad di Fiat ha dichiarato che nei prossimi 24 mesi si assisterà a un cambiamento radicale del settore, una mutazione che era già inevitabile ma il cui compimento è stato reso impellente dagli effetti della crisi finanziaria.
Secondo il manager italo-canadese dalla crisi attuale nascerà un comparto con solo sei operatori a livello mondiale: uno statunitense, uno in Giappone, uno cinese, uno franco-giapponese con una possibile appendice in Usa, uno tedesco e infine ci sarebbe spazio per un altro player europeo.
Del caso americano si è ampiamente dibattuto nelle scorse settimane e sono anni che l’industria d’oltreoceano sopravvive tra mille difficoltà e sempre sull’orlo del baratro. Modelli di vecchia concezione, motori che consumano un multiplo dei corrispettivi europei, concorrenza sempre più agguerrita di Toyota e delle case tedesche hanno progressivamente minato la redditività degli operatori locali General Motors e Chrysler (la situazione di Ford sembra al momento meno critica), che ora soccombono sotto i colpi della crisi. Obama stanzierà un pacchetto di aiuti per assistere il settore fino alla sua completa e dolorosa ristrutturazione, che dovrebbe sfociare nella fusione GM-Chrysler.
Le dichiarazioni di Marchionne hanno però alzato un polverone su Fiat. Per l’ad di Fiat l’unico modo per sopravvivere è produrre più di 5 milioni e mezzo di vetture all’anno, esattamente il doppio del numero di auto vendute dalla casa torinese nel 2007 (un ottimo anno). La naturale prosecuzione di questo ragionamento è, sempre secondo le parole di Marchionne, l’esigenza di Fiat di partecipare al processo di consolidamento che avverrà nel settore, dato che la posizione all’interno dell’industria non è più sostenibile.
Per la verità pare che per Marchionne l’auto sia sempre stata la principale fonte dei problemi e che sia da molto tempo allo studio un minor impegno del gruppo nel business; a turno sono salite alla ribalta le ipotesi di spin-off, joint venture o addirittura cessione integrale.
Nonostante i successi della sua gestione non è mai venuta meno la consapevolezza che lo status quo non fosse mantenibile all’infinito e che prima o poi fosse inevitabile introdurre una rottura rispetto alla struttura societaria attuale.
L’opportunità di sussidiare il settore auto e il futuro della maggiore impresa industriale italiana sono quindi temi quanto mai attuali. Riguardo al primo punto c’è il rischio di confondere l’esigenza di non lasciare soli i lavoratori con la convenienza di aiutare, tra i tanti, proprio il settore auto e proprio la Fiat. Tutto il settore gode ora di un enorme potere contrattuale sulla politica per la minaccia, nemmeno tanto velata, di lasciare a casa migliaia di lavoratori a causa delle difficoltà economiche.
Se aiuti devono essere, almeno servano a ristrutturare il settore una volta per tutte (in Italia ci sono tante pmi sane in difficoltà, ma purtroppo non pagano ai giornali e alle tv tutta la pubblicità dei carmakers: i più generosi in assoluto coi media). Sarebbe comico se dopo gli aiuti, pagati da tutti, l’auto venisse ceduta per la gioia dei soliti pochi noti.
Per i futuri alleati i maggiori indiziati sono PSA e BMW: i francesi con un’offerta molto simile a quella italiana, i tedeschi tra i leader nell’alto di gamma dove Fiat ha collezionato solo buchi nell’acqua. Qualsiasi sia la conclusione, Fiat può contare su un manager dalle compravate capacità gestionali e contrattuali e dalla notevole lungimiranza.
Probabilmente la soluzione migliore per Fiat e per il sistema industriale italiano sarebbe un’alleanza, con reciproca soddisfazione delle parti, con BMW. Se per far ottenere il risultato a Fiat non fosse necessario il solito obolo dei contribuenti sarebbe poi veramente il massimo.