IL CASO/ Germania-Draghi, la resa dei conti si avvicina

- Paolo Annoni

Ieri nel mondo politico tedesco hanno tenuto banco le dichiarazioni sul ruolo di Mario Draghi e della Banca centrale europea nella crisi dell’Eurozona. Il commento di PAOLO ANNONI

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Nonostante il clima agostano, anche sui mercati, con i volumi schiantati sia al di qua che al di là dell’Atlantico, nessuno si illudeva che il dibattito sulla sopravvivenza dell’euro, sulla situazione dei debiti dei paesi periferici e infine sul ruolo della Bce fosse finito. A confermare questa tesi, peraltro abbastanza condivisa, ci hanno pensato ieri due parlamentari tedeschi della maggioranza che sostiene la Merkel, che tra le altre cose hanno definito la Bce di Mario Draghi una bad bank, hanno chiesto una redistribuzione del peso dei voti nella Banca centrale europea e infine un diritto di veto tedesco su tutte le decisioni. In pratica, la tesi è questa: visto che garantiamo per tutti e siamo i maggiori creditori, allora decidiamo noi, e nessun altro per noi, come usare i soldi.

A mercati chiusi è stata invece direttamente la Merkel a inserirsi nella discussione con un paio di contributi. Il primo è che la Germania è decisa a fare tutto il possibile per mantenere l’euro. Il secondo, riguardo la possibilità che la Bce acquisti bond sul mercato, è che, secondo la Merkel, le recenti decisioni della Bce hanno chiarito che l’Eurotower richiede azioni politiche come condizione per uno sviluppo favorevole dell’euro; in pratica, in cambio di aiuti la Bce richiede alcune condizioni tra cui si presume il rispetto di alcuni parametri di deficit e rientro del debito.

Osservati attentamente, gli sviluppi di ieri non implicano particolari novità rispetto all’ultimo discorso di Draghi. I proclami di difesa dell’euro non sono mai mancati da parte di nessuno né quando la Grecia era sull’orlo del fallimento, né quando lo spread italiano stava a 550. Anche l’idea che gli aiuti siano condizionati al rispetto di impegni precisi non sembra una particolare novità dato che è la costante dall’inizio della vicenda greca. Se queste non sono le novità occorre cercare altro per spiegare la performance di Italia e Spagna, sia sui mercati azionari che su quelli del debito, dal discorso di Draghi e in particolare la forza che il mercato spagnolo mostrava ieri, con il mercato azionario in rialzo del 4% e il rendimento del decennale sceso di 11 punti base.

Cominciando dalla parte più facile, ieri il mercato spagnolo ha festeggiato i rumours di un imminente arrivo di una parte dei 100 miliardi di euro per il salvataggio del sistema finanziario a cominciare da 30 miliardi per Bankia, anche se, dichiarava il portavoce della Commissione europea, la Spagna non aveva ancora presentato una richiesta formale. Quest’ultima non è arrivata perché le discussioni sulle perdite che subiranno gli investitori spagnoli che detengono azioni o bond subordinati delle banche oggetto di salvataggio non sono ancora conclusi.

Per semplificare, il problema è che se gli aiuti arrivassero da privati e non dalla Bce, le azioni attuali varrebbero probabilmente zero e i bond subordinati molto meno del valore originario. In Italia ne sappiamo qualcosa con alcuni degli ultimi aumenti di capitale fatti sul mercato. Oggi Bankia capitalizza poco meno di 3 miliardi di euro: è quindi abbastanza chiaro che valore vero abbiano questi 3 miliardi in presenza di 30 miliardi di aiuti. Al momento possiamo solo rilevare che ottenere aiuti dalla Bce anche dopo il discorso di Draghi non è un processo semplice e comporta contropartite più o meno giuste e più o meno sopportabili.

Per la parte più difficile invece si può provare a spiegare la performance dei mercati delle ultime due settimane, con lo spread Btp-Bund sceso di 100 punti, dato che al momento le uniche vere carte in mano agli investitori sono le promesse di Draghi di intervenire a settembre. Sicuramente il periodo di bassi volumi può influire sulle performance del mercato molto probabilmente accentuando le percentuali giornaliere, in questo caso al rialzo. Probabilmente invece quello a cui si sta assistendo è una sorta di ritirata strategica degli “speculatori” che hanno chiuso le posizioni short e non le riaprono per paura che alle promesse seguano i fatti e che questi fatti possano rovinare in tutto o in parte i piani.

Se le cose dovessero andare per il verso sbagliato ci sarebbe sempre tempo per vendere, mentre farsi trovare corti con la possibilità, bassa o alta che sia, che si arrivi a un altro intervento stile Ltro è un’eventualità che è meglio evitare. Non serve oggi nemmeno decidere se la scommessa sia giusta o sbagliata o se il periodo di grazia concesso dal mercato sia lungimirante o meno, l’importante è avere chiaro che si tratta di un periodo di calma, in attesa di vedere cosa succederà a settembre quando Draghi scoprirà le carte e si capirà se la Bce agirà e i tedeschi lo permetteranno.

I rumours di rinvio della decisione della Corte costituzionale sul fondo salva-Stati, le polemiche tra la stessa maggioranza della Merkel sulla Bce-bad bank non fanno altro che confermare che le partite vere sono a settembre e che finora, discorsi di Draghi inclusi, siamo al precampionato; partite che meritano di essere osservate attentamente, ma che non contano per la classifica finale.





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