Mediaset ieri ha messo a segno l’ennesimo rialzo a doppia cifra, +23,3%, dopo la diffusione di un comunicato stampa in cui Vivendi dichiarava l’intenzione di voler salire fino al 30% della società media. Dall’inizio delle “ostilità”, il titolo di Cologno monzese ha messo a segno un rialzo di quasi il 60%. Le ipotesi che sono state fatte per interpretare quanto è accaduto sono molte e molto varie, ma crediamo di non andare molto lontani dalle verità con un poche considerazioni di buon senso. Non si investe oltre un miliardo di euro per comprare il 30% di una società dove c’è già un azionista che controlla, incluse le azioni proprie, oltre il 35% per “sedersi al tavolo della trattativa”; soprattutto se nel frattempo si compra a “qualsiasi prezzo”. Non si può credere che si decida di investire un miliardo per una partecipazione che non si può vendere sul mercato, se non con minusvalenze colossali, per fare “gli azionisti di minoranza” in una società con palesi problemi di posizionamento competitivo in un Paese che non cresce. L’obiettivo di Vivendi può essere solo quello di ottenere il controllo totale o in condivisione, ma più probabilmente totale.
Vivendi ha solo due modi per risolvere questa impasse in modo soddisfacente. Il primo è trovare un accordo con Berlusconi in cui ci sia un travaso sostanziale di controllo in favore di Vivendi e magari procedere alla creazione di un polo europeo inclusivo di Francia, Spagna e Italia; il secondo è quello di andare in assemblea, vincere la partita e comunque alla fine lanciare un’opa e portare a casa tutto oppure trattare con l’altro azionista da una posizione di forza. Forse Vivendi crede che ci siano molte opportunità nella creazione di un polo europeo di televisioni, magari con particolare attenzione per la pay per view, forse pensa di poter gestire Mediaset meglio del management attuale e quindi che la stessa società possa valere molto di più se gestita meglio: un taglio dei costi deciso potrebbe essere un buon inizio. Non sappiamo con certezza quale sia il disegno “industriale” o strategico. Sappiamo con certezza che il mercato non è preoccupato come dovrebbe dell’investimento miliardario di Vivendi in una società di cui in teoria potrebbe non avere alla fine nemmeno il controllo.
Il titolo Vivendi, una società che in teoria si è avventurata in un’operazione complicata con un investimento miliardario, non è mai praticamente sceso come pure sarebbe dovuto accadere in una circostanza simile. Questo significa che il mercato pensa che l’operazione di Vivendi non solo abbia ottime possibilità di successo, o un’opa o un co-controllo quindi, ma che l’investimento non sia un problema. La “maledizione del vincitore” in economia indica la situazione del compratore che ha vinto l’asta, ma ha dovuto pagare molto forse, sicuramente per tutti gli altri partecipanti, più del dovuto. In questo caso Vivendi vince la partita, ma si trova, almeno, con più di un miliardo in meno, mentre in caso di opa con ancora meno soldi.
Il mercato non è preoccupato perché pensa che Vivendi non abbia problemi a sostenere finanziariamente questa avventura; non può non venirci in mente la partecipazione in Telecom Italia con la cui cessione Vivendi potrebbe finanziare tutta l’operazione vendendo la sua quota a un compratore già interessato e individuato e cioè a Orange/France Telecom. La partecipazione di controllo nell’ex monopolista pubblico, con la sua infrastruttura strategica, in Italia rischia di essere un “incidente di percorso” in un’operazione da raider sulla prima società televisiva privata. Non si comprende se il sistema non capisca o faccia finta di non capire oppure se, semplicemente, non abbia alcun anticorpo. In questa vicenda surreale pare proprio che chiunque possa fare qualunque cosa in Italia; alla faccia delle minacce di “protezionismo”.