“La pace sia con voi”. Quando ha pronunciato, anzi quasi gridato alla folla di Piazza San Pietro la parola pace, ha suscitato in molti dei presenti antichi ricordi. Quell’espressione, infatti, era cara a un altro Papa, Giovanni XXIII, il “Papa buono”. Procedendo con le sue parole, Papa Leone XIV, “Papa Leone” come i romani in piazza lo hanno subito, a modo loro, con affetto rinominato (strappandogli anche un sorriso), ha fatto comprendere che quelle parole le stava incarnando nel tempo presente.
Si è rivolto, infatti, a ciascuno e a tutti, alle persone, alle famiglie, a tutta la terra. Le sue parole e il suo sguardo, forte ma anche severo, sembravano attraversare Piazza San Pietro per raggiungere ovunque chi di quella pace ha bisogno. Accanto aveva una croce, e pareva piantata lì per affermare che quella era la sua forza e la sua speranza, non altro che questo, in un mondo carico, oggi più che mai, di sofferenza.
Più è andato avanti e più tutti hanno compreso che era in sintonia con il tempo presente. Un tempo che, in molti luoghi, è stravolto dalla guerra, ma che allo stesso tempo contiene sempre la speranza della pace. Ed è stato in piena sintonia con il suo popolo quando ha ringraziato Papa Francesco, strappando un enorme applauso.
Ha ricordato, non a caso, la sua voce “debole ma sempre coraggiosa” anche il giorno di Pasqua. Quel Papa che aveva denunciato l’esistenza di una nuova “guerra mondiale a pezzi”. Quel Papa che si era scagliato, in questo tempo di guerra, contro il commercio delle armi. Quel Papa che, già malato, poco prima di essere ricoverato in ospedale, aveva chiesto di andare a Gaza. Quel Papa che, il giorno dei suoi funerali, aveva regalato una speranza di pace possibile, nell’incontro tra Trump e Zelensky nella Basilica di San Pietro.
Papa Leone ha voluto porsi, lo ha detto espressamente, sulla scia della Benedizione di Papa Francesco il giorno di Pasqua. “Il male non prevarrà” ha quindi scandito, ma non come grido di guerra, bensì come offerta di speranza a quel mondo sofferente, che non è stato estraneo alla Chiesa di Papa Francesco né a quella di Papa Leone, quell’umanità che, oltre Piazza San Pietro, era ben presente nel suo sguardo “severo”. Come se volesse porre anche a noi una domanda.
Per questo, non è ardito ritenere che la Chiesa di Papa Leone, la sua forza “disarmata”, la continuerà a porre al servizio degli uomini e delle donne, di tutti, combattendo la pretesa di chi ha il potere politico, militare o economico, di condizionare senza freni la loro umanità.
Per questo, non può sorprendere che abbia usato lo spagnolo, ingannando non pochi romani che hanno creduto di aver capito la sua nazionalità, per salutare chi in Perù lo ha accolto per tanti anni, lui, missionario agostiniano che era nato e veniva dagli Stati Uniti. Lo spagnolo è una lingua di tanti poveri nel mondo. La lingua di tanti migranti oggi perseguitati proprio negli Stati Uniti. Un segnale, un altro segnale che viene da “questo figlio di Agostino”, vescovo e filosofo vissuto in terra d’Africa.
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